ALDO GRASSO
SONO GIÀ PASSATI 25 ANNI DA QUANDO FIORELLO FACEVA DISCUTERE PERCHÉ PORTAVA IL POPOLO IN PIAZZA A CANTARE. POI SONO ARRIVATI I POPULISMI...
Era il 28 settembre del 1992. Fiorello, che poi sarebbe diventato il nostro più importante entertainer, portava ancora il codino e nelle piazze d’Italia faceva cantare i debuttanti. Esattamente 25 anni fa andava in onda per la prima volta il Karaoke, un successo strepitoso, una grande occasione di dibattito.
Su quel palco sono passati personaggi all’epoca sconosciuti e ora famosi: Elisa, Silvia Salemi, Camila Raznovich, Laura Chiatti, Tiziano Ferro.
Che cosa ha rappresentato questo programma? Il Karaoke diventa presto un appuntamento imperdibile, Fiorello un presentatore di culto e il suo codino (appaiato a quello di Roberto Baggio) oggetto addirittura di polemica politica: è di destra o di sinistra? Si dibatte sul Manifesto e sul Secolo d’Italia. Gli ascolti della trasmissione s’impennano, le piazze straripano di aspiranti cantanti, Fiorello è su tutte le copertine, i suoi seguaci sono ribattezzati “fiorellisti”, lui “il Berlusconi del 45 giri”. Ci pensa
Rutelli a chiarire che «il Karaoke è di tutti», quando in una celebre puntata da piazza SanGiovanni in Roma si esibisce in Roma nun fa’ la stupida stasera. Anche Vittorio
Sgarbi dice la sua, con preveggenza: «Non vedo proprio il pericolo di un fenomeno come Fiorello, che come tutti i personaggi simpatici è
di Aldo Grasso
destinato a durare poco». Sociologi, politologi e intellettuali di ogni orientamento sentono di dover dire la loro e se Edmondo Berselli, intervistato dal Corriere, sosteneva che «il karaoke è uno strumento altamente pedagogico», Norberto
Bobbio arriva a pubblicare un pamphlet, La sinistra nell’era del karaoke, in cui s’interroga sui sintomi di una società televisiva, videocratica, intronata e sull’affermarsi di un «frastornato impero del karaoke». Nel febbraio del 1995, Fiorello si aggiudica un’intera pagina de L’Avvenire: i toni non sono benevoli. Secondo il quotidiano cattolico, il Karaoke e il suo presentatore «lobotomizzano» il pubblico, lo istupidiscono e lo imboniscono con un format che non solo insegna a copiare gli altri, ma anche a sentirsi appagati nell’ indistinz ione di un grande coro che spersonalizza l’individuo. In piena Tangentopoli, non si trova di meglio che paragonare Fiorello all’altro eroe mediatico del momento, Antonio
Di Pietro: «con la sua palandrana nera Fiorello è un po’ un magistrato delle voci». Fiorello e la sua “orchestra vuota” (questo il significato giapponese del termine) erano solo il simbolo della vecchia piazza italiana, prima che questa fosse invasa dai movimenti di piazza: il popolo prima del populismo.
«L’AVVENIRE» LO ATTACCÒ SCRIVENDO CHE QUEL FORMAT LOBOTOMIZZAVA IL PUBBLICO