FAMIGLIA BONOLIS « Papà è antico ma quando c’è l’Inter diventa un bambino »
ABBIAMO CHIESTO AL RE DI CHI HA INCASTRATO PETER PAN DI DESCRIVERSI COME PADRE. POI È ARRIVATA ADELE, LA FIGLIA PIÙ PICCOLA. E CENE HA FATTO UN RITRATTO IRRESISTIBILE
Bonolis, continua ad avere la voglia di fare Chi ha incastrato Peter Pan? e lavorare con i bambini? «Sì, mi piace. La voglia di creare Chi ha incastrato Peter Pan? è nata molto tempo fa, laprima edizione è del1999. Ci è sembrato bello raccontare i bambini che si confrontano con la realtà. Mi capita spesso di ascoltarli chiedere cose riguardanti il nostro quotidiano e di farlo in una maniera piuttosto insolita. Ho creato una trasmissione per godere del loro stupore e della loro meraviglia. Chi ha incastrato Peter Pan? ha avuto un grosso successo fino
a sette anni fa, poi ho preso un’altra strada. Ora Mediaset ha voluto riprenderlo e io l’ho fatto di buon cuoremettendoli sull’avviso che in sette anni i bambini sono cambiati molto. Oggi, quelli di 9 anni sembrano dei quattordicenni rispetto a quelli di allora. Hanno una possibilitàdi accedere almondo diversa e sono meno “stupibili”. Sono quasi adolescenti. Così in questa nuova edizione ci siamo trovati ad affrontare una situazione più difficile. In più, rispetto agli ascolti, non ci ha giovato la collocazione al giovedì. Però mi piace farlo e sono contento che l’azienda abbia preso questa decisione anche se già nella mia vita ho un esubero infantile ( ride, ndr). Ho tre bambini piccoli a casa e me ne trovo dieci in trasmissione… Non vorrei che mi accadesse qualcosa a livello psicotico». Paolo Bonolis è cordiale e disponibile anche se è molto tardi e lui ha appena finito di condurre la terza puntata. I suoi tre bambini Silvia, Davide e Adele erano lì, in prima fila, a fare il tifo per papà. Adele, la più piccola, per l’occasione ha voluto essere più carina del solito e ha pensato bene di farsi fare una pettinatura da vera smorfiosa. Capelli lunghissimi sciolti e una piccola treccina a incorniciarle i lineamenti. Paolo tra un bicchiere d’acqua e qualche noce si racconta con generosità.
« CERCODI DAREAI MIEI RAGAZZI LE GIUSTE PROTEINE, VITAMINE E SALI MINERALI PERUNACORRETTA ALIMENTAZIONE DELL’ANIMA»
I bambini hanno la capacità di stupirsi per cose che per noi adulti fanno parte della normalità. C’è qualcosa che riesce ancora a stupirla? «A 56 anni è difficile rintracciare lo stupore della prima volta. Però non smetto di cercarlo. Se uno di 56 anni vede tutto come stupefacente, probabilmente qualche stupefacente lo ha preso ( ride, ndr). Oggimi riesco a stu- pire davanti a un film, a una rappresentazione teatrale o a unameraviglia della natura. Sopra ogni cosami stupiscono i comportamenti che segnano le tappe di crescita deimiei figli. Ultimamente mi ha colpito sentire la voce di mio figlio Davide che sta cambiando. Mi stupiscono i sentimenti… Ma il mio è uno stupore soggettivo, quello che colpisce nell’anima. Nel bambino è oggettivo e colpisce per prima cosa gli occhi. Mi auguro di stupirmi ancora così, prima di tirare le cuoia!». Lei che bambino era? «Ero un bambino timido e sono ancora una persona molto timida che si nasconde nello spettacolo: dove c’è più luce. Sul palco finisco per “interpretarmi”, in qualche modo è un po’ nascondermi. Sono figlio unico e ho imparato a divertirmi da solo: questo mi portava a vivere gli amici, quando li incrociavo, con una passione e un’intensità immensa. Mio padreemiamadre lavoravano. Pensi che parlavo anche da solo, ragionavo con me stesso. Immaginavo di viaggiare ed esplorare il mondo e quando me lo sono potuto permettere ho cominciato a viaggiare tanto. Anche oggi continuo a farlo, con maggiori comodità perché fortunatamente le economie me lo permettono. Nel viaggiare rintraccio spesso dello stupore». Erano severi i suoi genitori? «No. Molto aperti. Papà era più severo e rigoroso rispetto a miamadre ma era anche tremendamente divertente. Pretendevano molto da me per quanto riguardava la scuola e io andavomolto bene. Così potevo concedermi tutto, ma erano premi circoscritti: andare
a giocare a calcio con i miei amici, chiedere un pallone in più...». E lei che papà è? «Come tutti gli altri. Un papà che vuole bene ai suoi figli». Suvvia Bonolis, il mestiere del papà è più complesso di quello che mi vuole far credere. «Mi rivolgo ai miei figli cercando di far capire che per il momento c’è qualcuno che decide per loro e voglio che comprendano queste decisioni per poi prendere inmano la loro vita. Con mio figlio Davide parliamo di cose da maschi, facciamo molto sport insieme; con Silvia abbiamo un altro tipo di rapporto che è più fisico: ci amiamo, ci abbracciamo. Lei ha un senso dell’umorismo spiccatissimo. Con Adele, la più piccola, parliamo molto anche di cose inaspettate per la sua età. Ha una curiosità tale che si avvicina a qualsiasi argomento e a volte è spiazzante. Cerco di concederle poco per quanto riguarda il web e la tecnologia perché non posso pretendere che imiei ragazzinon appartengano al loro tempo, ma vorrei che avessero una disponibilità all’esperienza non solo filtrata da internet o da un meccanismo tecnologico. Vorrei che fossero capaci di cavarsela non solo nelle difficoltà, ma anche nei rapporti interpersonali. Cerco di camminare sulle uova perché questa generazione pretende cose che per la miamia erano inimmaginabili. Diciamo che cerco di dare le giuste proteine, vitamine e sali minerali per una corretta alimentazione anche dell’anima e della cultura». Ha visto? Sa meglio di me che con i figli non basta solo l’amore… I suoi come sono? «Adele ama leggere, Davide è il maschio prettamente votato agli sport, competitivo: li farebbe tutti. Un altro tipo di natura che non voglio snaturare anche se cerco d’avvicinarlo anche ad altre cose. È un bambinomolto sensibile e credo che questa sua sensibilità vada alimentata e non sprecata. A me piace che i bambini leggano perché penso che sia non solo un modo per attingere ad altre realtà, ma anche un mezzo per imparare a parlare. Oggi con i linguaggi tecnologici la capacità d’espressione delle persone si atrofizza. Il linguaggio è ormai fatto di simboli e quando devi poi usare la parola finisci per averne un uso elementare. Non sei in grado d’esprimerti bene e quindi, quando ti relazioni agli altri, non sei in grado di far capire bene che
cosa provi e quello che pensi». Inaspettatamente nel camerino entra la piccola Adele. Viene a chiamare il suo papà. È stanca d’aspettarlo. Ha sonno e vuole andare a casa. Ma è impossibile non approfittarne. Adele, quand’è che il tuo papà torna bambino? «Il mio papà è un bambino quando guarda le partite dell’Inter perché urla. Lo sentiamo fino al piano di sopra e si arrabbia tantissimo se l’Inter perde». Tu hai voglia di diventare grande o come Peter Pan ti piacerebbe rimanere sempre piccola? «Io ho voglia di crescere perché vorrei viaggiare tanto e finché non divento almeno di 15 anni non posso viaggiare da sola, però mi piace essere coccolata da mamma e quando sarò grande non potrò più come adesso». Avendo un fratello e una sorella sarà più difficile sentire il papà “solo tuo”. Quando ti capita di sentirlo così? «Io e mio padre vediamo da soli i documentari perché piacciono a tutti e due. Ci mettiamo sul letto e i miei fratelli sanno che non devono disturbarci. Poi, andiamo spesso al cinema solo noi due il sabato pomeriggio». Sei una bambina obbediente? «In generale ora sono brava ma da piccolina mio padre mi metteva spesso in punizione e mi faceva salire in cameramia, ma poi mi chiamava per mangiare e si scordava che mi aveva messo lui in punizione. Ora sono un po’ disobbediente la sera perché non vorreimai andare a dormire». Cosa vorresti dire a papà per avvicinarlo a Instagram e fargli usare tutti i canali social? «Mio papà è antico perché ha un telefonino Nokia che non si sente mai ma non lo vuole cambiare. Lui dice che se sto sul telefono non leggo, non parlo, non capisco più niente. Però, se voglio parlare con le mie amiche lo devo usare per forza. Poi lui non lo usa perché non lo sa usarema quando andiamo in vacanza chiede sempre a mamma di vedere internet. Poi lui non capisce perché mi piacciono tanto le webstar, ma io non capisco perché a lui piaccia tanto il calcio. Ognuno ha i suoi gusti. Ora papà sbrigati perché ti aspettiamo in macchina!» ( E se ne va, ndr). Paolo, possiamo dire che lei non ha nessun tipo di rapporto con Facebook, Twitter, YouTube, Instagram, al contrario di sua moglie Sonia e di sua figlia Adele? «Mia moglie potrebbe lavorare tranquillamente al Cern di Ginevra ( ride, ndr), è bravissima nell’utilizzo di queste tecnologie che io potrei anche apprendere ma delle quali non sento la necessità. Quello che ho appreso e che ha dato sale e sapore alla mia vita mi è più che sufficiente. Ci sono delle cose “tecno” che capisco, molte di cui avverto il bisogno, altre di cui avverto il pericolo. Dall’uso all’abuso il passo è brevissimo. Vedo purtroppo generazioni che da questa tecnologia vengono “vampirizzate”. Finiscono per avere solo un’esistenza virtuale. La conoscenza attraverso la tecnologia è indotta, i rapporti interpersonali sono filtrati da “anonimati”, distanze e linguaggi simbolici, lamemoria viene delegata a uno strumento invece che sviluppata quotidianamente attraverso lamemorizzazione. Il giorno che ti dovessero togliere tutto questo ti chiederesti: chi sono? Dove sono? Dove vado? Io invece posso farne a meno e non è necessario che gli altri sappiano quello che faccio io tutti i giorni. Probabilmente ho dei limiti verso questa epoca ma non vi preoccupate perché tra poco la storia mia è finita e voi continuate a raccontarvi tutti i fatti vostri… ComunqueAdele ha 9 anni e usa i social con il passaggio a livello paterno che prevede l’utilizzo solo per 20 minuti al giorno perché ho visto che in certi momenti ne stava diventando vittima».
Lei è il padre che dice spesso «no» o è permissivo?