Lidia Macchi È passato un anno e mezzo e le perizie non sono ancora pronte!
SI ATTENDEI L CONFRONTO FRA DUE CAPELLI E IL PRO FILOGENETICO DELL’ IMPUTATO
Una maledizione aleggia sull’omicidio di LidiaMacchi, varesina, studentessa universitaria di Comunione e Liberazione, massacrata con 29 coltellate nella notte fra il 5 e il 6 gennaio 1987. Per troppi anni le indagini non hanno fatto passi avanti, causando anche l’avocazione dell’inchiesta alla Procura Generale di Milano, che ha indagato anche un prete vicino alla vittima e l’autore del cosiddetto «delitto delle mani mozzate» del 2009. Inutilmente. La pista (forse) giusta viene imboccata nel 2015, quando una donna si presenta in Questura a Varese con quattro cartoline ricevute tanti anni fa dal suo amico Stefano Binda. La donna disse di aver riconosciuto, durante la trasmissione Quarto Grado, la scrittura di chi il 10 gennaio 1987, giorno dei funerali di Lidia, fece giungere alla famiglia una lettera anonima. Conteneva una prosa titolata «In morte di un’amica», nella quale l’assassino sembrava raccontare un amore infelice e la scena dell’omicidio. Secondo lei, la grafia era identica a quella delle cartoline. Il 16 gennaio 2016, Stefano Binda, amico di Lidia, di Cl, viene arrestato. Il processo, iniziato il 12 aprile scorso, non ha prodotto finora conferme. Per i consulenti Roberto Giuffrida, Carlo Previderè e Pierangela Grignani, che hanno esaminato il tessuto che ricopriva l’auto di Lidia e i lembi della busta che sigillava la lettera, «nessun profilo genetico appartiene a Binda... C’è il profilo di un Dna maschile, ma non è di Binda». Ma un’altra perizia potrebbe inchiodae l’imputato. Un anno e mezzo fa, nel marzo del 2016, dopo l’esumazione della salma di Lidia alla ricerca di possibili tracce genetiche, furono repertate 6 mila tracce pilifere affidate a Cristina Cattaneo e al colonnello Giampiero Lago, comandante del Ris di Parma. Sarebbero stati isolati due capelli non appartenenti né alla vittima né ai familiari. È fondamentale il confronto fra il profilo genetico di questi capelli e quello di Stefano Binda. Eppure, dopo un anno e mezzo, di questo lavoro non c’è traccia. Il processo che vede imputato, da detenuto, Stefano Binda, giungerà a sentenza entro dicembre. «Non è pensabile che io possa concluderlo senza queste analisi», sostiene l’Accusa, cioè il sostituto procuratore generaleGemma Gualdi. Che di fronte a un sollecito al Gip competente, si è vista rispondere laconicamente dal cancelliere: «L’incidente probatorio è ancora in corso». «Trovo offensiva questa risposta», spiega Gualdi, «le operazioni devono essere concluse entro il mese di ottobre, altrimenti è impossibile chiudere il processo». Il presidente del Tribunale, OrazioMuscato ha quindi scritto una nuova lettera al Gip, chiedendo «di specificare la presumibile data di chiusura delle operazioni peritali, la cui rilevanza è di tutta evidenza». E non c’è ancora neppure l’esito della perizia disposta sull’unico vetrino scampato (perché fu all’epoca inviato all’università di Pavia) alla distruzione, disposta dal capo dell’ufficio del Gip, di tutti i reperti relativi all’omicidio conservati nell’ufficio corpi di reato del tribunale di Varese. Si salvò, appunto, solo un vetrino con un frammento dell’imene della ragazza, ora affidato all’antropologa forense Cristina Cattaneo.