Sei single? Non puoi adottare. Ma se la bimba è Down, allora sì
«SENZA QUESTA LEGGE LA PICCOLA ORA NON AVREBBE NESSUNO », SPIEGAMELITA CAVALLO, EX PRESIDENTE DEL TRIBUNALE PERI MINORI DI ROMA .« NON GIUDICO CHI L’HA RIFIUTATA», DICE UNA MAMMA CHE PER SUA FIGLIA COMBATTEOGNI GIORNO, «MAC’È TANTA IGNORANZA »
Che bella notizia la storia di un single che decide di accogliere tra le sue braccia e nel suo cuore una bimba Down abbandonata in un ospedale di Napoli. Se n’è tanto parlato nei giorni scorsi: finalmente un uomo al centro di una vicenda che parla d’amore e di coraggio, non di violenza. Eppure. Eppure questo straordinario episodio di generosità solleva il velo su tanti interrogativi. Questo neo papà a cui tutti vorremmo regalare un abbraccio e dire “in bocca al lupo”, sin dall’inizio aveva dato la sua disponibilità al Tribunale per i Minori per accogliere un bimbo con problemi di salute. Ma a destare scalpore è stato che prima di lui sono state interpellate ben sette famiglie in attesa di adottare, e tutte hanno detto “no” alla possibilità di crescere una bimba Down. Sospendiamo i giudizi facili - del resto quante madri si sottopongono a villocentesi e amniocentesi proprio per escludere malattie genetiche? - e proviamo a capire. Perché, per esempio, se sette famiglie “standard”, si sono arrese davanti a questo compito, secondo la legge può farcela unuomo solo? E soprattutto: non è discriminatorio che quella bambina non abbia diritto, come un bimbo con i cromosomi “giusti”, ad avere una mamma e un papà? E, rovesciando la prospettiva: non è crudele che un single, uomo o donna che sia, possa adottare solo un piccolo che ha problemi fisici?
«NON È DISCRIMINATORIO»
«È sbagliato parlare di discriminazione, tanto è vero che questa bimba ora ha un riferimento affettivo proprio grazie a questa legge», dichiaraMelita Cavallo, ex presidente del Tribunale per i Minori di Roma. «Oggi i papà accudiscono egregiamente i figli quando restano soli. La legge 184 del 1983 prevede un’adozione piena per le coppie sposate e un’adozione in casi particolari, prevista all’articolo 44, che guarda proprio al benessere del bambino: se il piccolo ha dei problemi di salute, può essere accolto anche da una persona singola che abbia almeno 18 anni in più», spiega Melita Cavallo (vedi box). «I single non sono equiparati alla coppiama non è vero che possono diventare genitori solo di minori con problemi di salute: l’articolo 44 prevede, per esempio, che possano adottare nei casi in cui un bambino resti orfano di madre e padre e viene accertato che esiste un legame significativo con un parente o una persona di riferimento. La stessa cosa accade se la famiglia non può o non vuole accudire il figlio ma esiste già un adulto di riferimento», spiega la Cavallo che spezza una lancia anche a favore delle sette famiglie che hanno detto “no”. «Spesso si tratta di coppie che hanno alle spalle lunghi iter sanitari per cercare una gravidanza che non arriva e quindi hanno una ferita aperta. Di fronte alla prospettiva di farsi carico di un bambino che li costringerà ad affrontare situazioni complicate, non se
la sentono. È vero che quando chiedi di adottare devi dire “sì” o “no” alla voce “problemi di salute” ma può non essere specificato quali e quanto gravi, a meno che il giudice decida di elencarli e chiedere alla coppia nello specifico quali problemi sanitari accetterebbe». La pensa diversamente Martina Fuga, mamma di Giulia, Cesare edEmma, 12 anni, bimba con la sindrome di Down: «La notizia che arriva da Napoli mi ha trafitto lo stomaco: sette famiglie hanno detto “no” a una piccola Down. Non le giudico, ma fa male», dice Martina. Lei la sua vita con Emma la ritiene non solo bella ma persino felice. Basta leggere il suo bel libro per capirlo, Lo zaino di Emma (Mondadori). E per comprendere ancorameglio, andate suYouTube e guardate The simple interview il video girato da due fratelli, uno “normale” e uno Down, che hanno affrontano il tema insieme e commosso centinaia di migliaia di persone (l’esperienza è poi diventata un libro, Mio fratello rincorre
i dinosauri, Einaudi). «La vera rivoluzione sarebbe quella culturale: tutti dovrebbero imparare a conoscere queste persone», spiega Martina. «Questa alterazione cromosomica non è una malattia. Fa paura solo a chi non ci si avvicina. Certo, non è facile crescere un bimbo con la sindrome Down ma non è una condanna all’infelicità: noi abbiamo girato il mondo con Emma, non ci siamo preclusi nulla, ed è la terza volta che cambiamo Paese. Nostra figlia impara le lingue, si integra, si interessa a tutto. I problemi non sono dentro la nostra famiglia, dove Emma porta tanta allegria, ma nel mon- do che ci circonda. Per capire: all’inizio della scuola Emma era “un caso”. Dopo qualche settimana, i bambini giocavano tutti insieme, nessuno ci faceva più caso», spiega Martina. «Noi da poco viviamo in Francia e qui non esiste l’inclusione scolastica. Mia figlia frequenta una classe “speciale”, una situazione discriminatoria lontana dagli standard della scuola italiana», valuta la Fuga. Che al neo papà di Napoli dice: «Grazie per essere andato oltre i pregiudizi. Sappi che avere un figlio con la sindrome di Down prima di tutto è avere un figlio. Guarda sempre alla bambina che c’è dietro quegli occhi a mandorla prima che alle sue difficoltà. Nulla le sarà precluso a priori, potrà andare a scuola, lavorare, si innamorerà. La mia porta è aperta così come, sono certa, quella di tanti altri genitori comeme. Quando avrai dei dubbi o ti sentirai affaticato, il confronto con altre famiglie ti sarà d’aiuto. Non esitare a bussare alla nostra porta».