PARLACOMEMANGI
ALCUNI LAMENTANO L’ABUSO DELL’INGLESE A DANNO DELL’ITALIANO. MA UNMOTIVO C’È. ANZI: PIÙ D’UNO
Periodicamente mi arrivano lettere e mail sull’«abuso» della lingua inglese, soprattutto in tv e sui giornali. In proposito, mi scrive per esempio il lettore Pietro Villani: «Caro direttore, condivido quanto dice nel suo editoriale del n. 40 circa la necessità, per i giovani più di tutti, di parlare l’inglese, senza il quale non si va da nessuna parte, e perché ciò avvenga bisogna studiarequesta benedetta lingua fin dalle elementari. Però non si dolga più di tanto se il suo piccolo rampollo non può frequentare il corso integrativo, avrà tutto il tempo davanti. Piuttosto, lei si è chiesto che fine farà la nostra bella lingua italiana sotto i colpi dell’inglese? Gli anglicismi stanno inondando sempre più la nostra lingua. La vostra è anglomania, snobismo o altro? La lingua italiana, costruita in tanti secoli dai nostri scrittori (cito le due colonne portanti: Dante Alighieri e AlessandroManzoni) e dal popolo stesso, è chiara, armoniosa e bella. E voi della carta stampata (anche se non siete i soli) la state impoverendo, con l’uso sempre più diffuso di parole inglesi, il cui significato può essere benissimo espresso dalle nostre parole…».
Punto sul vivo, sono andato a controllare su un numero di Oggi, e ho potuto constatare che almeno noi siamo innocenti. O quasi innocenti. Nel senso che c’è l’uso di termini di origine inglese, ma non l’abuso. Certo, tutto si può tradurre, unamia collegami hamostrato che esiste addirittura un’App per le traduzioni istantanee col telefonino, e pare che siano già in commercio, o presto ci arriveranno, degli speciali auricolari per la traduzione audio simultanea, come nei film di fantascienza. Tutto si può tradurre (io stesso ho tradotto dei libri, in passato), ma non sempre le espressioni corrispondenti hanno lo stesso significato, la stessa energia o la stessa efficacia.
Ad esempio, come rendere First Lady in italiano? I francesi non hanno problemi, loro vantano la Première Dame, ma noi? Farebbe piuttosto ridere chiamare Prima Signora la moglie di Gentiloni (il presidente Mattarella è vedovo). Caroline di Monaco «fa shopping », ma ammetterete che è un po’ diverso dal fare la spesa, e lo fa « low cost », che non vuol dire semplicemente «a basso costo» ma indica con maggiore precisione alcune importanti catene commerciali. « Gossip », d’accordo, starebbe per pettegolezzo, ma voletemettere la valenza un pizzico più intrigante? Showgirl e showman potrebbero diventare donna (anzi ragazza) e uomo di spettacolo, ma sono espressioni che farebbero la loro bella figura in un modulo burocratico. E fiction come lo traduciamo? E reality? Quanto a Vip ( Very important person), non credo proprio che sia possibile trasformarlo in Pmi (Persona molto importante), se non altro perché in italiano Pmi è già “occupato” dalle piccole e medie imprese.
Come vede, caro Pietro, la questione della «difesa della lingua» è un tantino più complessa di come appare a prima vista. Ovviamente i giornali talvolta esagerano con l’inglese, ma c’è anche una ragione per così dire tecnica: spesso le parole di origine anglosassone sono più corte delle corrispondenti in italiano, e i titoli soprattutto esigono quasi sempre brevità. Il tanto vituperato (non solo per motivi linguistici) Jobs Act, però, non è colpa dei giornalisti, semmai di Matteo Renzi e di coloro i quali ci tengono a sembrare moderni e «vonno fa’ gli americani».
Insomma, “l’inondazione” delle parole inglesi non è una questione di pigrizia o di snobismo, ma è dovuta anche a solide e concrete motivazioni. Aggiungo infine la ragione più sostanziale. La lingua (qualsiasi lingua) è una cosa viva, un organismo complesso che cambia e si evolve parallelamente alla società e ai costumi. Lei stesso, caro Pietro, cita Dante e Manzoni, senza accorgersi che proprio loro rappresentano la smentita più fragorosa alle sue argomentazioni. Ma ci pensa se nel 2017 parlassimo come l’Alighieri o l’autore dei Promessi Sposi? Guardi, lei si chiede che fine farà la nostra bella lingua «sotto i colpi dell’inglese». Io sono più preoccupato dei «colpi» inferti da coloro, e sono tanti, ad altissimi livelli, che non solo non sanno l’inglese, ma neppure l’italiano.