MA LA DIFESA È SEMPRE AFFIDATA A LORO DUE
setti vogliano insistere sulla denuncia agli inquirenti che avrebbero fatto tutta una montatura. A me, vista la mia determinazione a non seguire la loro linea di difesa, non hanno nemmeno proposto alcun incarico che io comunque non avrei accettato».
SI È LETTO LE 380 PAGINE DELLA SENTENZA
Perché Di Pietro e Marita si sono incontrati? Semplicemente perché qualcuno, non sappiamo chi, si è rivolto a lui e, come al solito, lui non si è tirato indietro quando c’è da dare una mano a chi ha bisogno. A Bergamo poi Di Pietro non solo ha lasciato ottimi ricordi (tutti ricordano ancora la cattura del «mostro di Leffe» e della banda che aveva saccheggiato il Monte dei Pegni dopo aver tenuto in ostaggio per 24 ore gli impiegati) ma è sempre di casa, dividendosi fra Montenero di Bisaccia, il paese natìo nel Molise dove fa l’agricoltore, e la città dove ha iniziato la carriera e ha conosciuto la moglie Susanna Mazzoleni. Quindi qualcuno ha suggerito il suo intervento e Massimo Bossetti, informato in carcere, avrebbe accolto l’idea con entusiasmo: «Magari un uomo come Di Pietro mi desse una mano!», ha detto. Inoltre si è scoperto che le 380 pagine della sentenza della Corte d’Appello di Brescia l’ex magistrato le ha lette A lato, Claudio Salvagni (a destra), e Paolo Camporini: sono e restano i legali di Massimo Bossetti. «A me», precisa Di Pietro, «non è stato offerto alcun incarico». e un’idea, naturalmente, se l’è fatta: «Il presidente Fischetti, che conosco bene, ha scritto una “sentenzona”. Ma qualche punto da chiarire e, diciamolo pure, da attaccare, credo ci sia», ci dice con la solita franchezza. Ma Di Pietro è stato molto esplicito con Marita: «Non credo ai complotti e alle congiure. Conosco la Procura di Bergamo dove nel 1981, come uditore giudiziario, ho iniziato la mia carriera e dove sono diventato Pm. Tutti possiamo sbagliare, ma non c’era alcun interesse ad accusare suo marito sapendolo innocente. Scacci quindi questi pensieri. È fuori strada». Nella sentenza di Brescia Di Pietro ha notato che per ben quattro volte il presidente Enrico Fischetti ribadisce che la superperizia non si può fare perché «il materiale biologico è stato consumato tutto. È esaurito». E questa affermazione ha indottoDi Pietro a rivedere le carte e a scoprire un verbale di udienza, quello del 20 novembre 2015, durante il processo di primo grado, nel quale depose, sotto giuramento perché in qualità di testimone, il professor Giorgio Casari, docente di genetica medica al San Raffaele di Milano e consulente della Procura con un incarico preciso: «Sono stato contattato ( dalla Pm Ruggeri, ndr) per sequenziare l’intero genoma del Dna rilevato dalle tracce di Ignoto 1». Casari, rispondendo alle domande del Pm, disse: «Tutti i Dna sono a disposizione, li abbiamo ancora tutti al San Raffaele, non abbiamo finito nessuna aliquota. Nei tubi c’è ancoramateriale per ulteriori indagini, volendo…».
E LUI TORNEREBBE IN LIBERTÀ
Dov’è la verità? Forse Casari li ha distrutti dopo questa deposizione? Perché il professor Casari non è stato richiamato in aula a Brescia? La Cassazione, si sa, non entra nel merito, ma di fronte a una contraddizione così evidente, difficilmente può lasciar correre. I giudici porranno una domanda: c’è ancora materiale per una superperizia? Se ci fosse, come ha sostenuto e ribadito, ancora quest’anno a Quarto Grado, Giorgio Casari, potrebbero anche disporre che questa perizia venga rifatta durante un nuovo processo d’Appello. E Bossetti nel frattempo tornerebbe in libertà.