Cani in ufficio Adesso i quattrozampe entrano al lavoro di Massimo Laganà
«ÈVERO, IOHOUNBARBONCINO, MANONÈ UNA MISURA CHE HO PRESO PER INTERESSI PERSONALI», SCHERZA ELISA SERAFINI, ASSESSORE ALLA CULTURA IN LIGURIA. «E SE UN SOLO IMPIEGATO DI CENO, BLOCCO TUTTO ...»
Lavorare stanca. Adempiere ai propri obblighi quotidiani in compagnia di un cane potrebbe scemare la pena. O almeno questo è l’assunto di Elisa Serafini, 29 anni, assessore alla Cultura del Comune di Genova. Che ha autorizzato i dipendenti del suo dipartimento a portare i loro quattrozampe in ufficio, durante l’orario di lavoro. «È vero, io ho un barboncino, ma non è una misura presa per interessi personali», scherza Serafini. «Sapevo che un impiegato teneva il cane con sé in ufficio. E allora ho pensato che fosse giusto dare la stessa possibilità agli altri dipendenti della sede di Palazzo Ducale». L’apprezzabile iniziativa ha già raggiunto quattro adesioni canine, assessore incluso. Ma ha creato anche qualche comprensibile polemica. Non tutti sono ferventi animalisti. E alcuni problemi di coabitazione umano-cani- na si stagliano evidenti all’orizzonte. È la stessa Serafini che mette subito in evidenza due paletti fondamentali: «In primo luogo l’ingresso dei cani è ammesso nei locali che non sono aperti al pubblico. La seconda regola vincolante che ci siamo dati assegna un potere di veto al singolo impiegato. Significa che se anche un solo dipendente ha paura o è allergico, scatta il blocco e nessuno può più portare il suo cane».
«SULLA MATERIA C’È UN VUOTO GIURIDICO»
È una disposizione interna, precisa Serafini. Che mette indirettamente il dito nella piaga. Perché lamateria non è regolamentata in modo puntuale da una legge dello Stato. «Il Regolamento di Polizia Veterinaria prevede semplicemente che i cani possono accedere ai luoghi e ai mezzi pubblici se condotti al guinzaglio e
con la museruola», spiega l’avvocato Mara Cesarano. «Viceversa c’è un vuoto giuridico sulla presenza degli animali cosiddetti domestici nei luoghi di lavoro. Bisognerà fissare delle prescrizioni, per evitare che le facoltà riconosciute ad alcuni soggetti confliggano con i diritti di altri». Le regole di buon senso fissate dall’assessore vanno nella giusta direzione? «Sicuramente», conferma il legale. «Ma non bastano. La legge deve imporre che un animale sia sottoposto a uno screening completo, prima di avere accesso in un ufficio. È necessaria anche una copertura assicurativa per il cane, nel caso la sua presenza causi un danno a terzi». Fin qui l’aspetto legale. Poi c’è il profilo più strettamente emotivo e affettivo.
«NON È QUESTA LA STRADA OTTIMALE»
«L’iniziativa dell’assessore è “spettacolare”», sostiene con un filo d’ironia Giusy D’Angelo, dell’Ente nazionale protezione animali. «Diciamo che può essere utile, perché fa discutere di un problema solitamente ignorato. Però non è la strada ottimale. Un conto è creare gli “office dog parking”, aree apposite per i cani nei luoghi di lavoro. Come avviene inFrancia e inGran Bretagna. Un altro costringere gli animali a stare con altri umani in spazi piccoli e in ambienti non familiari. La coabitazione può rivelarsi difficile per entrambe le categorie. Una legge è necessaria». C’è chi teme la proliferazione incontrollata di progetti analoghi. E chi, invece, la auspica: a Bologna, per esempio, la leghista Lucia Borgonzoni presenterà in Consiglio un ordine del giorno per chiedere di replicare l’esperienza genovese. Scettica, Stella Pende, nota inviata, che per qualche tempo ha tentato di conciliare il lavoro con il suo affetto per una bassottina. «Portavo la piccola Brigida in redazione. In una cesta. Stava sempre conme. Ma l’esperimento non durò a lungo. I colleghi minacciarono di portare i loro cani di taglia grande. E finì lì. Ci sono nodi inestricabili. C’è unproblema di spazi. E va tutelato il diritto alla salute dei colleghi. Non credo che se ne verrà mai a capo. Il cane in ufficio è una felice utopia».