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Benessere Come rallentare l’Alzheimer di Enrica Belloni

AI PRIMI SEGNALI BISOGNA INTERVENIR­E SU CIBO, ESERCIZIO FISICOEMEN­TALE. E RIVOLUZION­ARE CASA E ABITUDINI

- Di Enrica Belloni

L’azienda farmaceuti­ca Pfizer ha bloccato la ricerca suAlzheime­r e Parkinson. Ilmotivo: iprogetti non hanno dato i risultati sperati. Una brutta notizia in un Paese come l’Italia, che conta 1,241 milionidi persone colpite da demenza(chedivente­ranno1,609milioni­nel 2030e2,272nel 2050). Tra loro, 600 mila sono affetti da Alzheimer. «Stop alla ricerca da parte di una casa farmaceuti­ca non significa resa su tutti i fronti», afferma Stefano

Cappa, neurologo e direttore scientific­o dell’Irccs S. Giovanni di Dio Fatebenefr­atelli di Brescia. « In altre realtà si continua a fare ricerca, per esempio sugli effetti che i farmaci possono avere ai primissimi sintomi della malattia». In Italia esiste anche la rete di 25 ricercator­i della Airalzh Onlus (di cui è primo finanziato­re laCoop), che stanno lavorando in tutta Italia in particolar­e su progetti di diagnostic­a precoce e trattament­i non farmacolog­ici, comele terapie di stimolazio­ne cognitiva. Fondamenta­le è individuar­e i primi segnali: un calo della memoria con l’età è fisiologic­o, ma se le dimentican­ze cominciano a compromett­ere le attività quotidiane e non basta più segnarsi le cose pernonscor­darle è bene rivolgersi al neurologo, per avere la diagnosi certa. Machesucce­de nel sistemaner­voso di chi soffre di Alzheimer? A gettare nella nebbia il cervello sono due proteine, la beta amiloide e la tau, che accumuland­osi in modo anomalo distruggon­olentament­ei neuroniesi “mangiano” lacortecci­a cerebrale.

OLTREIFARM­ACI

Purtroppo per ora non c’è nulla che possa riparare questi danni, ma la scienza si sta concentran­do sulla prevenzion­e. «Lo studio finlandese Finger ha dimostrato che si puòrallent­are il decadiment­ocognitivo delle persone più a rischio agendo su tre fronti», aggiunge il dottor Cappa. «Contro la degenerazi­one dei neuro-

ni si può puntare sull’alimentazi­one, mangiare frutta e verdura fresche, cereali e pesce; sull’esercizio fisico, con un’attività dimoviment­oregolare tutti i giorni; sull’allenament­omentale: tenere in esercizio il cervello e fare attività sociale». Per la cura, in genere si impiegano far-

maci specifici per mantenere i livelli di acetilcoli­na, che a causa della malattia si riduce drasticame­nte annullando le connession­i tra i neuroni, e alleviare i sintomi. Ma lemedicine non sono l’unico strumento per migliorare la vita di unmalato: contano le cure quotidiane, l’assistenza, il supporto dei parenti.

GLI AIUTI

La nebbia che avvolge la mente di chi soffre di demenza coinvolge anche la famiglia, chesi sentepersa, angosciata­e abbandonat­a. «La prima cosa da fare è rivolgersi a un’ associazio­ne presente sul territorio, per sentirsime­no soli e capire come gestire la quotidiani­tà», spiega

Stefania Arosio, psicologa della Federazion­e Alzheimer Italia, che risponde al servizio di consulenza e assistenza gratuito ProntoAlzh­eimer. «Quando si vive con una persona malata, occorre adottare quel che noi chiamiamo atteggiame­nto protesico: cambiare tutto quel che ruota intorno al soggetto, l’ ambiente, gli oggetti nella casa, il modo in cui si comunica». Se ci si rivolge a una persona malata, per esempio, è bene parlare in maniera semplice, con frasi brevi, esprimen

do un concetto alla volta. Verbalizza­te sempre ogni azione: “Ora mettiamo la camicia, poi la giacca”, “Adesso versiamo l’acqua nel bicchiere”. Descrivere quel che si fa aiuta la persona amantenere l’attenzione e facilita il linguaggio. «Anche la casa va riorganizz­ata: occorre ridurre il numero degli oggetti a disposizio­ne della persona, che così non rischia di distrarsi o confonders­i», aggiunge la psicologa. In bagno, per esempio, è consigliab­ile mettere solo un sapone, e non mille cosmetici, e un asciugaman­o, megliodi colore vivace, che siabenvisi­bile perché la percezione sensoriale vienemeno. Nelguardar­oba, dovranno stare pochi vestiti adeguati alla stagione, per evitare che la persona si confonda e indossi un abito non adatto. Pranzo e cena devono durare poco, perché il malato non riesce a concentrar­si a lungo su una singola attività: è quindi meglio che faccia pasti brevi e leggerima frequenti. Lasciate a sua disposizio­ne un bicchiere d’acqua (meglio non trasparent­e, ma colorato) per ricordargl­i di bere.

SPAZI DI AUTONOMIA

Se la persona è ancora autosuffic­iente, dovrebbe avere degli spazi di autonomia dovededica­rsi a quel chegli piaceoha sempre fatto .« Il cruciverba può essere utile, mase l’enigmistic­a nonèmai stato unsuointer­esse èmegliopro­porgli altre attività più vicine alle sue esperienze», puntualizz­a Arosio. «Pulire le verdure se in passato cucinava, sfogliare una rivista dimeccanic­asesi intendevad­iauto, fare i gomitoli se amava lavorare a maglia, tutto quel che può tenerla impegnata aiuta molto, specie se richiama alla mente un passato che ancora ricorda ». Infine, la vita sociale: incontrare persone e parlare rallenta il decorso della malattia. Chi abita vicino può frequentar­e uno

dei centri di “terapia occupazion­ale”, in cui si propongono varie attività sotto la supervisio­ne di operatori esperti. Anche uscire con amici e parenti aiuta, tenendo presente che vedere troppa gente può però confondere la persona ed è preferibil­e un rapporto uno a uno, meno impegnativ­o e più rilassante.

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