Le aveva detto: « Ci innamoreremo di nuovo nell’aldilà »
LA GIGANTOGRAFIA DI MARINA. LA GELOSIA. I RICORDI CARI. ANDREA CARD ELLA RIVELA GLI ULTIMI ISTANTI DI UN GRANDE UOMOE DI UN GRANDEAMORE
Carlo non ce l’ha fatta senza la sua Marina: appena 56 giorni dopo la sua scomparsa, si è ricongiunto con lei. Viene da pensare che il destino abbia voluto essere, fino all’ultimo, regista di questo grande amore. Lui, in fondo, glielo aveva predetto tanti anni fa: «Quando la morte ci separerà, ci rincontreremo nell’aldilà e ci innamoreremo di nuovo».
ERA ANCORA GELOSO
Il 2 marzo Carlo Ripa di Meana se n’è andato inmodo lieve, come lieve e gentile è stata la sua esistenza, mano nella mano con l’adorato figlio adottivo Andrea Ripa di Meana Cardella; al suo capezzale, i fratelli Saverio, Ludovica e Daria. Aveva 89 anni. «Mio padre», racconta Andrea che, con grande rispetto e amore, lo chiamava “l’onorevole” e gli dava del lei, «si è sentitomale 15 giorni fa per un crollo dell’emoglobina». All’ospedale Santo Spirito, dove già aveva trascorso alcuni giorni nel luglio scorso dopo essere caduto nella sua camera da letto (allora era ancora viva Marina e questa coppia così elegante e simpatica aveva conquistato tutto il personale), una serie di trasfusioni aveva subito normalizzato i valori del sangue. «Venerdì 23 febbraio, Carlo stava particolarmente bene», ricorda una delle sue più care amiche. «Coi suoi magnifici occhi chiari, ammiccanti, voleva sapere di Franco Angeli, il pittore maledetto con cui Marina, prima di conoscerlo, aveva avuto una lunga storia. C’era in lui, ancora, una punta di gelosia pregressa. “Ma quello”, gli ho spiegato, “era un amore autodistruttivo. Poi sei arrivato tu e l’hai salvata”. Carlo scuoteva la testa e si rasserenava». Nulla lasciava immaginare un così rapido epilogo. Poi sono subentrate difficoltà respiratorie. I valori metabolici si sono gravemente scompensati di nuovo e anche i medici hanno dovuto infine arrendersi. «Speravo di avere più tempo da trascorrere con mio padre», racconta Andrea Cardella. «Lo spronavo: “Onorevole, si rimetta presto e ritorni a casa: ho bisogno del suo aiuto per organizzare il trasloco”. Si era infatti deciso di lasciare la grande casa di via Ovidio a Prati, dove è mortaMarina, per trasferirsi in un appartamento più piccolo, ma luminosissimo in via Gorizia, quartiere Trieste. “Metteremo nella sua camera il suo grande letto, il ritratto ottocentesco del suo avo, marchese Ripa di Meana, la sua scrivania, i suoi libri e tutto quanto”.
Era speranzoso e non vedeva l’ora di iniziare questo nuovo capitolo della sua vita, il capitolo di padre e figlio. Ma con Marina sempre nel cuore e nella mente. Aveva chiesto all’architetto Aldo Ponis di preparare una gigantografia da una foto di Marina coi pattini, un’immagine che tenevano incorniciata vicino al tavolo da pranzo. La voleva a grandezza naturale, per immaginarla sempre vicino a sé».
AVEVA UN SOLOCRUCCIO
Continua Andrea: «L’onorevole ha trascorso le settimane lacerato da un grande cruccio. “Come ho fatto a non capire che Marina stava cosìmale?”, ripeteva. “Marina non voleva che lei sapesse, che lei soffrisse”, gli spiegavo». Carlo e Marina erano due adorabili innamorati non più giovani e lei ha tirato fuori il meglio di sé proprio nell’accudire fino all’ultimo il marito. A novembre scorso, durante la loro ultima uscita pubblica, una visita alla mostra del pittore Francesco Trombadori, lei era orgogliosissima di spingere la sua sedia a rotelle. Si erano conosciuti, nell’autunno del 1977, a Venezia, durante la famosa Biennale del dissenso di cuiCarloRipa diMeana era ideatore e direttore. Fu l’incontro tra due grandi seduttori nel pieno del loro fulgore. Marina lo avrebbe voluto sposare anche il giorno stesso, ma lui era sospettoso e titubava. E fu così per anni. Memorabile fu una scenata che accade un’estate al mare: erano su un pattino a remi e lui non si decideva a capitolare; allora Marina lo scaraventò in acqua sapendo che non sapeva nuotare. Si sposarono finalmente a Campagnano di Roma, nel 1982, con rito civile. Vent’anni dopo, nel 2002, a Monte Castello di Vibio, in Umbria, fecero il bis in chiesa, con un festoso ricevemento al quale vollero che partecipasse anche chi scrive. «Fu un giorno bellissimo», racconta Andrea. «Io, abbigliato in maniera davvero poco convenzionale, accompagnai la sposa, con uno dei suoi mitici cappellini, scortata dai valletti d’onore: i suoi adorati cani carlini. Ho vissuto conCarloeMarinaRipa diMeana per 30 anni, mi hanno insegnato tanto, insieme abbiamo riso e pianto. Non li dimenticherò mai».
«ACCANTOALEI MI DIVERTIVO MOLTO: AMAVO LA SUA GRANDE ALLEGRIA E LACAPACITÀDI DARE FELICITÀ, SENZA CONTROPARTITE»