EDITORIALE
UNA POESIA SULL’AFFETTO PIÙ PURO CHE ESISTA, SULLA GENEROSITÀ E SULLA RICONOSCENZA
Un paio di settimane faFabioVolo, durante il suo programma suRadio Deejay, ha letto un testo che lo ha fatto piangere in diretta. Si tratta della « Lettera di un (anziano) padre al figlio ». Hanno forse fatto notizia più le lacrime del conduttore che le parole contenute nel testo. Non sono riuscito a capire chi sia l’autore, né se egli sia davvero un papà anziano o piuttosto un poeta molto ispirato. In ogni caso, quella lettera è talmente bella che mi dispiacerebbe andasse “dispersa” nel Web, quindi ve la voglio riproporre per intero. Eccola.
Se un giorno mi vedrai vecchio, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi… abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso a insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere… ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi, non biasimarmi e non farmi vergognare… ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc. Quando a un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso… dammi il tempo necessario per ricordare, e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dicoma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo, non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stessomodo in cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto… non arrabbiarti, un giorno comprenderai cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po’ del tuo tempo, dammi un po’ della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza, in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo, figlio mio.
Ecco, finisce così. E se a questo punto non avete almeno gli occhi lucidi come i miei mentre trascrivevo la lettera, be’, dovete possedere davvero un cuore di pietra. È un canto sull’amore: l’amore più puro che possa esistere, quello di un genitore per l’essere umano che ha messo almondo, e che per anni ha coccolato, protetto, sostenuto con tutte le sue forze anche a costo di sbagliare per eccesso di affetto. Ed è una poesia sulla riconoscenza, la generosità, il disinteresse, valori perduti o in via di estinzione non solo in una società sempre più fondata sull’egoismo, ma troppo spesso anche all’interno delle famiglie. Poi, certo, parla anche dell’età che avanza, del traguardo finale che non vorremmo mai tagliare e che quando toccherà a noi raggiungere vorremmo farlo con intorno le persone che più abbiamo amato. Resta solo una domanda: lui, il destinatario della lettera, il ragazzo fatto uomo, avrà capito?