Oggi

L’odisseagiu­diziariadi un ladruncolo

«Nove anni di processo per una melanzana»

- di Gino Gullace Raugei

Perle di antica saggezza popolare: chi ruba tanto fa carriera, chi ruba poco va in galera. Lo sa bene il signor S. S., 49 anni, che il 12 ottobre del 2009, a Carmiano, 12 mila anime in quel di Lecce, colse una melanzana in un orto altrui e per questo ha subìto un procedimen­to giudiziari­o durato nove anni: tre processi; due condanne, in primo grado e in Appello; quindi il prosciogli­mento in Cassazione. «Nel caso in oggetto», spiegano i giudici della Suprema Corte, «si doveva applicare l’articolo 131 bis del Codice penale che esclude la punibilità per la particolar­e tenuità del fatto». Insomma, c’è furto e furto e quella melanzana, per quanto bella e succosa, valeva al massimo 20 centesimi di euro. Peccato che lo Stato italiano, accordando a S. S. il gratuito patrocinio in quanto indigente, di euro ne abbia tirati fuori ben 9 mila – solo di spese vive - per accorgersi infine che quei processi non avrebbero dovuto svolgersi. Bel colpo! «Finalmente sono fuori da questo guaio», spiega S.S., «ma continuo a provare tanta amarezza. Che Stato è quello che tratta come un delinquent­e chi, sempliceme­nte, muore di fame?». I fatti. «Ero disoccupat­o; senza un centesimo in tasca», racconta S.S., «e avevo a casa la compagna e un figlio piccolo a carico. Perciò decisi di andare in campagna per raccoglier­e qualche ramo secco da bruciare nella stufa. Mentrem’incamminav­o verso il bosco vidi un bell’orto con alcuni filari di melanzane. Non c’era recinzione, némuretti. Tutto quel ben di dio era lì, a portata dimano. Lo so che rubare è male, ma pensai alla mia famiglia che quella sera avrebbe potuto sfamarsi».

A RISCHIO GALERA

Caso volle che in quel momento sopraggiun­gesse il contadino, signor G.D.. Non la prese bene e c’è da capirlo. «L’orto vuole l’uomo morto», richiede cioè impegno e fatica. Zappettare, pulire, annaffiare, concimare, giorno dopo giorno; poi arriva un tale che pretende di fregarti il frutto di tanta fatica. Ne nacque un diverbio e G.D. chiamò i Carabinier­i, che denunciaro­no S.S. a piede libero. «Al processo di primo grado», ci spiega l’avvocato Silvana D’Agostino, «abbiamo documentat­o che S. S. versava in

condizioni di indigenza, aveva agito per fame, commettend­o un fatto di molto tenue entità. Andava prosciolto. Ma i giudici non hanno voluto sentire ragioni: l’hanno incriminat­o per furto aggravato e condannato a cinque mesi di reclusione e 300 euro di multa. S. S. sarebbe andato dritto in galera perché nel 2000 era stato denunciato per un fatto analogo, cioè un furto di qualche frutto, e quindi, in qualità di “delinquent­e abituale”, non aveva diritto ad attenuanti generiche né a pene alternativ­e. «In Appello», continua D’Agostino, «il giudice ha riconosciu­to che non di furto si era trattato, bensì di tentato furto, poiché la melanzana fu subito restituita al proprietar­io. Quindi la pena è stata ridotta a due mesi e 120 euro di multa. Ho dovuto impugnare la sentenza in Cassazione per avere giustizia». Che cosa si impara da una vicenda del genere? «Che la gente, per superficia­lità, fa delle cavolate», dice l’avvocato D’Agostino. «Si va in campagna a passeggiar­e e non si resiste alla tentazione di raccoglier­e un po’ di ciliegie e poi ci si ritrova sotto processo. Qui in Puglia sono situazioni frequenti. Un tizio è stato condannato a quattromes­i e 120 euro di multa per aver rubato due chili di ciliegie; un altro è a giudizio per un chilo di mandarini». Ma com’è possibile che in Italia da una parte vi siano ladri di appartamen­ti e borseggiat­ori seriali impuniti (secondo l’Istat ne vanno in galera, rispettiva­mente, 2 e 3 ogni 100 reati) e dall’altra la legge vada giù pesante contro chi ruba un frutto? «La giustizia è gestita in modo talvolta arbitrario», spiega D’Agostino. «Alla prima sezione penale del Tribunale di Lecce c’era un giudice che assolse un tale che aveva rubato 100 chili di olive perché, secondo lui, lo aveva fatto per sfamare la famiglia. Ora il vento è cambiato». E poi dice che la legge è uguale per tutti.

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