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ISABELLA BIAGINI

DAL SUCCESSO ALL’ OBLIO E ALLA DEPRESSION­E, L’ ATTRICE NON H AMAI SUPERATOLA TRAGICAMOR­TE DELLA FIGLIA. ECCOLA TRISTE PARABOLADI UNAFINTASV­AMPITA

- Di Michela Auriti

La star più tormentata del nostro cinema si è spenta a 74 anni.

Si può morire restando ancora vivi, e a Isabella Biagini è successo proprio così. Dolori pubblici e tormenti privati. La fine tragica della figlia Monica, nel 1999, l’aveva spinta nel tunnel buio della depression­e. Anche nei sentimenti era stata sfortunata: sposata due volte, per dieci anni era stata legata a Paolo Limiti, ma il grande amore si chiamava Camillo Caltagiron­e. E poi ecco quelmalede­tto telefono che non squillava più: «Possibile che non ci sia un ruolo per me, tipo una nonna? La parte della rincojonit­a la posso fa’ eccome! ». L’avevamo incontrata all’incirca un anno fa, in un albergo della periferia romana dove si era appoggiata dopo il rogo della sua casa e lo sfratto. Viveva con una pensione di 700 euro al mese, più volte invocò la legge Bacchelli. Litigava con un fratellast­ro, l’altro invece le era rimasto accanto. Aveva anche una gamba bloccata da un tutore perché investita da una macchina. Eppure, nonostante le condizioni penose, le piaceva inanellare ricordi da grandiva. Come quel bacio cheDelon le diede e a cui lei rispose con un morso sulla lingua. Come quel rifiuto a DomenicoMo­dugno, che le valse un cazzotto in faccia. Raccontava: «FuAnnaMagn­ani a presentarm­iMichelang­elo Antonioni. Lui mi volle per una piccola parte in Le amiche, ma io non avevo il sacro fuoco dentro». La Biagini, di una bellezza imbarazzan­te, diventò presto il sex symbol degli Anni 60-70. Soubrette, imitatrice, attrice di talento all’insegna della leggerezza. Fece tanta tv tra varietà e commediemu­sicali. Titoli come Non cantare, spara; Bambole, non c’è una lira; C’era una volta Roma. Per il cinema le commedie di Steno, Salce, Corbucci. I film con Ciccio e Franco. Renzo Arbore la volle in tv per Cari amici vicini e lontani e sul grande schermo con FF.SS. In quel letto d’albergo, col cagnolino Freud in braccio, Isabella ci affidò l’ultima memoria: «Sogno spesso mia figlia Monica. Lei è tra le nuvole, io mi arrampico su una scala con le rose bianche e dico: “Prendimi amore”. Invece leimi ricaccia sempre giù: “Non è ancora tempo, hai cose da fare”. Forse ha ragione lei. Ma io ho il rammarico d’essere nata: la vita è stata troppo cattiva conme, che sonoun’anima fragile, che sono rimasta bambina». Un’ischemia l’aveva colpita nel novembre scorso, si è spenta in un hospice dov’era ricoverata da tempo. Quella scala di rose, adesso, l’ha portatadri­tta lassù, dal suo tesoro più caro.

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PER LEI ALLA FINE SOLO MISERIE E DISGRAZIE Roma, 2009. Isabella Biagini già indigente. L’artista viveva con una pensione di 700 euro al mese e l’anno scorso aveva dovuto far fronte al rogo della casa e allo sfratto. Si è spenta in un hospice della...
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