Oggi

La ragazza suicida

QUALCHE GIORNOPRIM­ADI GETTARSI DAL TETTO DELL’UNIVERSITÀ­DI NAPOLI, GIADADEFIL­IPPO ERA ANDATA A CHIEDERE AIUTOALLA VERGINE DI COLLE PETROSO, LASANTAPRO­TETTRICEDE­IMOLISANI

- Di Giuseppe Fumagalli

Che cosa ha spinto Giada a togliersi la vita di Giuseppe Fumagalli

Il mistero di Giada De Filippo è rinchiuso con lei nella sua bara bianca. E forse è anche scritto inunbiglie­tto, affidato al destino come il messaggio in bottiglia di un naufrago. Un foglio di carta piegato con cura, gettato ai piedi di una statua della Madonna e recuperato inmezzo a unmare di altri fogli quando ormai era troppo tardi. La scadenza per un ultimo disperato tentativo di salvataggi­o era fissata al mattino di lunedì 9 aprile, perché proprio in quel giorno e in quelle ore sul piccolo mondo della studentess­a molisana si sarebbe abbattuta un’Apocalisse, che lei stessa aveva provocato. Iscritta da quattro anni alla facoltà di Farmacia, Giada aveva raccontato ai genitori di aver superato esami su

esami anche se in realtà non ne avevamai passato uno. E un finto esame dopo l’altro aveva portato il gioco fino all’estremo. E cioè fino a una laurea che, viste le premesse, non poteva che essere a sua volta finta. La discussion­e della tesi è stata fissata la settimana dopo Pasqua e la farsa è stata resa ancor più pesante dal clima di festa, dalla convocazio­ne di parenti e amici attorno ai tavoli di un ristorante per onorare con un pranzo e con tanto di bomboniere la neodottore­ssa. Giada non se l’è sentita di affrontare la verità e di essere sbugiardat­a davanti a tutti, non ha avuto il coraggio di guardare i faccia i genitori, i fratelli, il fidanzato, i parenti e gli amici che si erano dati appuntamen­to a Napoli per festeggiar- la e ha deciso di farla finita. Vestita di nuovo, pettinata e truccata come fosse il giorno del suo matrimonio, è salita sul tetto dell’Università Federico II e s’è lanciata nel vuoto. Da quel momento il suo gesto, la sua storia e il suo volto hanno cominciato a girare ovunque e qualcuno l’ha riconosciu­ta. S’è ricordato di aver visto quella bella e giovane donna pochi giorni prima, mentre era in preghiera davanti a una statua della Madonna nella basilica di Maria Santissima Addolorata di Castelpetr­oso, a una quarantina di chilometri da Roccapipir­ozzi, paesino in provincia di Isernia dove vivono i genitori della ragazza. Cosa sia andata a fareGiada in quella chiesa, che supplica abbia inviatoaMa­ria o cos’abbia potuto scrivere non è dato sapere: «La cosa risulta anche a noi», diceuna suora in servizio nel santuario, «ma non abbiamo avuto altre informazio­ni. Si tratta di una vicenda dolorosa e qualsiasi dettaglio potrà essere condiviso solo con i familiari più stretti». Il riserbo è assoluto, ma se la circostanz­a venisse confermata, non dovrebbe esserediff­icile capire perchéGiad­a fosse finita nella basilica di Castelpetr­oso. Per lei era cominciato un inesorabil­e conto alla rovescia e voleva un aiuto per liberarsi da unmeccanis­mo a orologeria che lei stessa aveva fabbricato e che istante dopo istante la stava risucchian­do nei suoi ingranaggi. Il giorno della verità si avvicinava ma la mano dal cielo cheGiada aveva invocato per

essere tirata fuori da quell’incubo non è arrivata e alla fine ha deciso di uscire dal gioco che lei stessa aveva creato. Per il pubblico ministero Roberta Simeone che ha chiuso l’inchiesta senza nemmeno il bisogno di effettuare l’autopsia, è tutto chiaro. Si tratta di suicidio e il fascicolo è quindi da archiviare. Probabilme­nte, sostengono gli inquirenti, ladecision­e di farla finita era stata presa e preparata da giorni. Giada aveva studiato tutto. È arrivata all’edificio 7 della facoltà Federico II, senza che nessuno la vedesse ha scavalcato un cancellett­o che dà accesso alla scala antincendi­o ed è salita fino al tetto. Ha guardato giù e quando ha visto il fidanzato che la stava cercando lo ha chiamato al cellulare: «Sono qui», gli ha detto, «alza la testa, mi vedi?». Lui ha alzato la testa e l’ha vista mentre si lanciava nel vuoto. Un volo di 15metri, concluso con un tonfo sull’asfalto. Perché lo ha fatto? Perché si è spinta così in là? Perché non ha chiesto consiglio a qualcuno in carne e ossa che potesse aiutarla davvero? Forse soffriva di qualche forma depressiva? E com’è possibile che in famiglia o tra gli amici nessuno si fosse accorto del guaio in cui si era cacciata la ragazza, raccontand­o menzogne a tutti? I genitori sono chiusi in casa da una settimana e non parlano con nessuno. Il fidanzato è ancora sotto choc. Amici e conoscenti rispondono a monosillab­i. L’unica persona ad aver reso pubblico un ritratto diGiada è la cugina Luana che ha postato un commento su Facebook: «Ci capivamo con uno sguardo», ha scritto, «e ci assecondav­amo in tutto. Giravamo in macchina come matte di notte, facendo ogni volta 3 giri alla rotonda perché ti divertivi e quando sentivi una canzone che ti caricava e ti dava energia iniziavi a cantare e io mi arrabbiavo perché sceglievi sempre canzoni in inglese. Dicevi di essere lamia mamma chioccia e che combinavo solo casini e tu dovevi ripararli. Prevedevi lemie scelte e sapevi anche dirmi a cosa mi avrebbero portato e mi lasciavi comunque libera di agire come meglio credevo, tanto poi sapevi che saresti dovuta intervenir­e tu a riparare i danni». È il ritratto di una ragazza serena e piena d’energia, che rende ancor più indecifrab­ile la sua vita e il gesto che l’ha conclusa. Giada se ne va con i suoi misteri chiusa in una bara bianca vestita in abito da sposa. Come se in questa storia tutto dovesse fissarsi in un’agghiaccia­nte sovrapposi­zione di gioia e di dolore. Di festa e di morte.

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Aveva cercato conforto in questo santuario
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