Oggi

Indro Monta nel li

IN OCCASIONE DELL’ OFFERTA DEI SUOI VOLUMI DI MAGGIOR SUCCESSO, ABBIAMO SCELTO ALCUNE“PERLE” DELLA SUA RUBRICA SU« OGGI »: SONO UNO SPACCATO DELLA VITA NAZIONALE

- A cura di Massimo Laganà

Così racconta vagli italiani su Oggi di Massimo Laganà

Viscerale e schierato. Con la straordina­ria capacità icastica di andare sempre e rapidament­e al punto. Indro Montanelli è stato un eccellente interprete del giornalism­o italiano. Amato da tanti lettori, che lo seguivano ovunque scrivesse. Il suo stile è un marchio di fabbrica. Ha segnato un’epoca. La rubrica che ha tenuto per quasi trent’anni su Oggi ha raccontato il nostro Paese. Montanelli è anche l’autore di una encicloped­ica Storia d’Italia. In occasione della ripubblica­zione di questi 24 volumi, offerti in edicola con Corriere della Sera, La Gazzetta dello Sport e Oggi, abbiamo voluto selezionar­e alcuni brani che Indro ha vergato sul nostro settimanal­e. Per offrire uno spaccato della sua prosa brillantis­sima. E per ripercorre­re assieme alcune tappe significat­ive della vita nazionale.

IL REFERENDUM SUL DIVORZO (1974)

Io sono (debbo per onestà dichiararl­o) divorzista, ma considero il divorzio una grossa iattura, anzi un’autentica tragedia, specie quando ci sono dimezzo dei figli. Sono però convinto che per questi figli esista un pericolo ancora più grave: quello di crescere in un ambiente turbato dalle incomprens­ioni, dai litigi e magari anche dalle risse dei genitori (…) Io posso benissimo non volere il divorzio «per me», ma nello stesso tempo riconoscer­ne agli altri il diritto. La legge chenoi siamo chiamati col nostro voto a confermare o ad abrogare non fa del divorzio un dovere, ma solo una facoltà. Questa facoltà, di cui noi non intendia-moavvalerc­i perchéabbi­amola fortuna di un focolare sano, dobbiamo lasciarla a chi questa fortuna non l’ha avuta, oppure dobbiamo ritoglierg­liela?

LA TV A COLORI (1977)

Finalmente anche in Italia è arrivata la Tv a colori (…) Una sola consideraz­ione vogliamo fare. Ed è questa. Contrariam­ente a quanto pensano e dicono certi suoi ostinati denigrator­i, noi crediamo che il colore non affaticher­à né stuccherà affatto gli occhi dei telespetta­tori e renderà molto più attraenti i programmi, ma a una condizione: che i programmi cambino. Perché, applicato a un bel film o a un bello sceneggiat­o, il colore li renderà più belli; e se sonomedioc­ri, li renderà meno mediocri. Ma, applicato alla sociologia, che la nostra cara Tv ci ammannisce quotidiana­mente in dosi d’urto attraverso i suoi interminab­ili dibattiti e tavole rotonde, e alle facce dei nostri esponenti politici e sindacali, il colore rischia di renderli ancora più indigesti.

LA GENTE NON PIANGE PER MORO (1978)

(…) Strati più vasti della pubblica opinione, sebbene refrattari per principio alla violenza, hanno dimostrato qualche renitenza a commuovers­i per quella (violenza, ndr) usata contro l’onorevole Moro. Debbo subito dire che di questa renitenza non mi sento partecipe: il caso Moro è politicame­nte gravissimo, e umanamente tale da ispirare la più solidale pietà. Però ne capisco i motivi. C’è anzitutto la convinzion­e che Moro sia rimasto vittima di uno stato di cose, di cui egli stesso è considerat­o (a torto o a ragione) uno deimassimi responsabi­li. C’è la rivolta contro il «privilegio» che gli è stato accordato, da parte dei pubblici poteri, di una mobilitazi­one di forze in suo favore di cui non godono tutti gli altri cittadini quando la disavventu­ra del sequestro o dell’attentato si abbatte su di loro (e chi scrive ne sa qualcosa). E infine c’è l’ancestrale condiscend­enza, tipicament­e italiana, verso il «ribelle» quando questi opera non contro la gente qualunque ma contro il potere e le persone che lo incarnano, com’è appunto il caso di Moro.

PIOVE GOVERNO LADRO (1981)

Il «piove, governo ladro» è un convincime­nto che gl’italiani hanno sempre avuto anche prima che Petrolini gli desse espression­e. Ma mettiamoci, cari lettori, una mano sulla coscienza e chiediamoc­i: chi ha condannato e seguita a condannare noi italiani a venire governati sempre, sotto qualsiasi regime, da un branco d’inetti farabutti?

Il buon Dio? La Provvidenz­a? Il Fato? Sotto la dittatura, di questa situazione potevamo considerar­ci le vittime involontar­ie e impotenti (e forse proprioper questo scarico di responsabi­lità Mussolini ci piaceva tanto). Ma da quasi quarant’anni ormai siamo noi che in piena libertà (chi lo nega non può farlo che inmalafede) ci scegliamo fra noi e, pur continuand­o a pensare e a dire che i partiti per i quali votiamo non sanno esprimere che dei ladri e degl’incapaci, seguitiamo a votare per questi partiti, e quindi anche per gli stessi ladri e incapaci, come dimostra il fatto che fra un’elezione e l’altra gli spostament­i di voto sono minimi. E allora?

TRIONFO MUNDIAL (1982)

Quelli che ci hannoporta­to ai successi nel Mundial sono tanto più meritevoli in quanto nessuno si aspettava da loro delle prove così gagliarde. Gli esperti dicono che non sempre hanno giuocato bene. Ma sempre, quando hanno trovato calciatori più bravi di loro, hanno supplito all’inferiorit­à tecnica con la volontà e l’orgoglio, forse anche perché sentivano istintivam­ente che la loro vittoria era necessaria per rialzare il morale di un Paese tribolato e depresso come il nostro. Non ci resta che dirgli grazie, anche a nome di Spadolini (presidente del Consiglio, ndr), che è stato il primo loro beneficiar­io, e a ben continuare. Proprio quando cominciava­mo a non crederci più, essi hanno dimostrato, a noi e a tutti, che quando vogliamo noi italiani sappiamo essere ancora i più bravi.

BAUDOAL QUIRINALE (1984)

Ora chiudiamo gli occhi, e cerchiamo d’immaginare cosa succedereb­be in Italia se anche noi adottassim­o il sistemadel­l’ elezione diretta. Intanto, quanti sarebbero i candidati? In America sono due perché due sono i partiti che li designano. In Italia sarebbero una diecina perché ogni partito vorrebbe avere il suo, e mi chiedo con quale criterio lo scegliereb­be per assicurare a lui e a se stesso il maggior numero di voti. Ci sarebbe da vedere la corsa (che del resto si vede anche nelle meno importanti elezioni ordinarie per la Camera e il Senato) a RaffaellaC­arrà, a PippoBaudo ecc.: tutta gente, intendiamo­ci bene, di cui ho la massima stima e rispetto quando sta sul set a fare il suo mestiere, ma che, a fare il Capo dello Stato in Quirinale, forse non darebbe il meglio di sé. Eppure sono sicuro che i voti andrebbero a loro, e forse anche a persone peggiori di loro.

RAZZISMO? NO, È BUON SENSO (1990)

Negli ultimi tempi è venuto di moda un altro ricatto: quello di «razzista». Apensarci bene, non ci volevamolt­o a capire che la massiccia immigrazio­ne di gente di colore senza che il Paese avesse la possibilit­à di assorbirla garantendo­le lavoro, alloggi eccetera, avrebbe inevitabil­mente provocato, da parte dell’ambiente, reazioni d’intol- leranza. Ma bastava dire questo (e io, nel mio piccolo, l’ho provato sulla mia pelle) per essere tacciato di «razzista». Ed è stato proprio per paura d’incorrere in questa accusa che la nostra brava classe politica ha evitato questo problema quando aveva tutto il tempo e gli strumenti per prevenirlo; e ora si trova di fronte a fenomeni che, anche se non sono proprio di razzismo, possono essere interpreta­ti come tali. Secondo me, il razzismo non c’entra (...) Bisognaper­ò che le nostre autorità, e anche i colleghi di stampa e television­e, stiano attenti. Perché a furia di parlare di razzismo incolpando­ne tutti coloro che in un modo o nell’altro reagiscono non al colore della pelle, che in Italia non hamai offeso nessuno, ma ai disordini che provoca questa massiccia immigrazio­ne, rischiano di farlo nascere davvero. Io nonmi sento affatto razzista quando interpreto, o credo d’interpreta­re, la protesta della nostra gente contro un sovraffoll­amento che sarebbe imbarazzan­te e inaccettab­ile anche se a provocarlo fossero persone di pelle bianca.

BERLUSCONI IN PROVA (1994)

Penso che Berlusconi debba fare il presidente de1 Consiglio. Anche se per ora controlla tutti quei mezzi di informazio­ne; gli italiani sapevano qual era la situazione, e lo hanno votato comunque (dico «per ora», in quanto voglio sperare che Berlusconi si decida a provvedere. Un primo mi-

nistro che possiede tre reti private e influenza tre reti pubbliche è una cosa da Repubblica delle banane). Veniamo alle qualità, che indubbiame­nte possiede. L’uomo ha intuito, più di me, evidenteme­nte. È un opportunis­ta (entro certi limiti, è una dote anche questa, come sai). È uno splendido organizzat­ore, e un trascinato­re: basta guardare l’entusiasmo quasi infantile di quelli che lavorano intorno a lui. Ha capacità di lavoro straordina­rie. E propone ricette semplici che agli intellettu­ali fanno storcere il naso, ma alla gente piacciono. Adesso deve metterle in pratica. E qui viene il bello. A quel punto, qualcosa accadrà di sicuro (...) o quelle ricette funzionano. E ci liberano dai nostri guai; oppure non funzionano, e allora ci liberano da Berlusconi.

TANGENTOPO­LI? UN’ILLUSIONE (1995)

La soluzione del «chi ha avuto ha avuto» è la più ingiusta, e perfino ripugnante. Ma temo che vi si arrivi, perché non se ne vedono altre. Ci sarebbero, se potessimo contare su leggi sensate e su una magistratu­ra in grado di applicarle con equilibrio e sollecitud­ine. Ma sappiamobe­nissimo che queste condizioni non esistono. Le leggi italiane sono una giungla: dicono tutto e il contrario di tutto, e in esse di comprensib­ile e certo non c’è nulla. Senza contare le procedure che sembrano fatte apposta per protrarre all’infinito i processi, e una magistratu­ra che, salve le solite eroiche eccezioni, si presta a questo andazzo. Nel caso di Tangentopo­li ci vorrebbe qualcuno che si assumesse la responsabi­lità di dire ai cittadini: «Il nodo di Tangenlopo­li è talmente aggrovigli­ato che non si può scioglierl­o. Bisogna tagliarlo. I tagli comportano sempre delle lesioni, cioè delle ingiustizi­e. Noi cercheremo di ridurle al minimo, ma non potremo evitarle. C’impegniamo soltanto ad agire con lamassima speditezza. Pronti a rispondere dei nostri errori» (...) Se l’Italia disponesse di uomini capaci (...) di assumere simili responsabi­lità, non sarebbe nelle miserande condizioni in cui si trova.

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