Qui si fa la storiaoppure simuore (dal ridere)
SI CHIAMANO“MEME” E SPERNACCHIANOI PROTAGONISTI DEI GRANDI FATTI DELLA SETTIMANA.BUFFONEBERLUSCONINESANNOQUALCOSA. EINOSTRI ESPERTI...
Il termine “meme” ha un’etimologia seriosa e impettita, che rimanda al greco antico e significa: «Singolo elemento di una cultura replicabile e trasmissibile per imitazione da un individuo a un altro». Chiunque appartenga, anche di striscio, a questi tempi, sa però di cosa si tratta: uno sfottò audio o video che diventa virale su internet o passa freneticamente da un telefonino all’altro. Già, perché anche la satira, adesso, è liquida, parte dal basso e dilaga soprattutto sul web, con i social come veicolo privilegiato di propagazione. La scorsa settimana ha fornito argomenti in quantità, sgorgati dai tre pilastri di questo Paese: il calcio, la politica e lo spettacolo. La furia tribunizia di Gigi Buffon dopo il rigore concesso al Real Madrid. Il “gioca jouer” inscenato da Silvio Berlusconi mentre Salvini cercava disperatamente di esporre il programma del centrodestra. Il samba un po’ gelatinoso che ha ballato il viso di Gabriel Garko prima che tutto il resto di Garko si esercitasse nel tango a Ballando con le stelle. I social hanno preso e frullato tutto, sparando fuochi d’artificio le cui scie sono ancora ben visibili e udibili nel cielo del web (e in queste pagine). Giorgio Simonelli, professore di Storia della televisione all’Università Cattolica di Milano, è sicuro: «Facebook e compagnia hanno tirato fuori la vena comica che c’è in ognuno di noi. Vorremmo tutti essere al posto di Crozza, anziché delegargli il compito
di farci ridere», dice. «Questo battutismo è, tra tutte le novità introdotte dal web, una delle meno fastidiose: preferisco i produttori di meme ai tizi che postano foto di gattini e cercano di convincerci che gli animali sono migliori di noi. Anche se l’ironia, su internet, va maneggiata con cautela: una volta ho inserito nelmio blog una barzelletta sulla Juve e per settimane ho ricevuto insulti eminacce», ricorda. A Enrico Bertolino il diluvio di meme dovrebbe dar fastidio: in fondo, trattasi di concorrenza sleale… «E invece no», ribatte, «perché noi comici abbiamo la possibilità di smarcarci: se tutti fanno battute, la ricetta è rifugiarsi nei monologhi, come fa ancheCrozza. Lì viene fuori il mestiere: non puoi costruirli con un collage di tweet». Per Bertolino, il defluire delle battute su internet è inevitabile: «Non esistono più i cabaret come spazi fisici, allora si va su YouTube. Il web è palestra, vetrina e anche sala prove: gli autori “testano” una battuta sui social prima di usarla in tv o nei teatri». Insomma, rispetto per i forzati dei meme: «Sono gli extracomunitari della risata: fanno unmestiere duro che gli italiani, e cioè i comici di professione, non vogliono più fare». Il vero problema, ragiona Bertolino, sono gli haters: «Con loro faccio più fatica. In genere li retwitto, e molti li recupero: spesso sono persone civili incattivite dal fatto che non possono sfogarsi. Al bar, quelli così, li accompagnano alla porta…».