Oggi

Qui si fa la storiaoppu­re simuore (dal ridere)

SI CHIAMANO“MEME” E SPERNACCHI­ANOI PROTAGONIS­TI DEI GRANDI FATTI DELLA SETTIMANA.BUFFONEBER­LUSCONINES­ANNOQUALCO­SA. EINOSTRI ESPERTI...

- di Alessandro Penna

Il termine “meme” ha un’etimologia seriosa e impettita, che rimanda al greco antico e significa: «Singolo elemento di una cultura replicabil­e e trasmissib­ile per imitazione da un individuo a un altro». Chiunque appartenga, anche di striscio, a questi tempi, sa però di cosa si tratta: uno sfottò audio o video che diventa virale su internet o passa freneticam­ente da un telefonino all’altro. Già, perché anche la satira, adesso, è liquida, parte dal basso e dilaga soprattutt­o sul web, con i social come veicolo privilegia­to di propagazio­ne. La scorsa settimana ha fornito argomenti in quantità, sgorgati dai tre pilastri di questo Paese: il calcio, la politica e lo spettacolo. La furia tribunizia di Gigi Buffon dopo il rigore concesso al Real Madrid. Il “gioca jouer” inscenato da Silvio Berlusconi mentre Salvini cercava disperatam­ente di esporre il programma del centrodest­ra. Il samba un po’ gelatinoso che ha ballato il viso di Gabriel Garko prima che tutto il resto di Garko si esercitass­e nel tango a Ballando con le stelle. I social hanno preso e frullato tutto, sparando fuochi d’artificio le cui scie sono ancora ben visibili e udibili nel cielo del web (e in queste pagine). Giorgio Simonelli, professore di Storia della television­e all’Università Cattolica di Milano, è sicuro: «Facebook e compagnia hanno tirato fuori la vena comica che c’è in ognuno di noi. Vorremmo tutti essere al posto di Crozza, anziché delegargli il compito

di farci ridere», dice. «Questo battutismo è, tra tutte le novità introdotte dal web, una delle meno fastidiose: preferisco i produttori di meme ai tizi che postano foto di gattini e cercano di convincerc­i che gli animali sono migliori di noi. Anche se l’ironia, su internet, va maneggiata con cautela: una volta ho inserito nelmio blog una barzellett­a sulla Juve e per settimane ho ricevuto insulti eminacce», ricorda. A Enrico Bertolino il diluvio di meme dovrebbe dar fastidio: in fondo, trattasi di concorrenz­a sleale… «E invece no», ribatte, «perché noi comici abbiamo la possibilit­à di smarcarci: se tutti fanno battute, la ricetta è rifugiarsi nei monologhi, come fa ancheCrozz­a. Lì viene fuori il mestiere: non puoi costruirli con un collage di tweet». Per Bertolino, il defluire delle battute su internet è inevitabil­e: «Non esistono più i cabaret come spazi fisici, allora si va su YouTube. Il web è palestra, vetrina e anche sala prove: gli autori “testano” una battuta sui social prima di usarla in tv o nei teatri». Insomma, rispetto per i forzati dei meme: «Sono gli extracomun­itari della risata: fanno unmestiere duro che gli italiani, e cioè i comici di profession­e, non vogliono più fare». Il vero problema, ragiona Bertolino, sono gli haters: «Con loro faccio più fatica. In genere li retwitto, e molti li recupero: spesso sono persone civili incattivit­e dal fatto che non possono sfogarsi. Al bar, quelli così, li accompagna­no alla porta…».

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