Violenza in classe
Ne parliamo con Giovanni Floris
Migliaia di insegnanti con diploma magistrale protestano contro una norma che stabilisce che si possa insegnare solo se laureati. Gli atti di bullismo nelle aule riempiono le cronache con immagini di professori inermi, succubi. Cosa succede alla scuola italiana? «Che le abbiamo tolto valore e lo abbiamo tolto agli insegnanti», dice Giovanni Floris, conduttore diDiMartedì che ha appena dato alle stampe Ultimo banco (Solferino), dove disegna un nesso stretto tra le condizioni della scuola e quelle del Paese e della politica. Che cosa intende per perdita di valore? «Abbiamo smesso di apprezzare la categoria del pensiero, il sapere, la cultura. Lo vediamo nella politica, in cui scegliamo persone che non sembrano in grado di amministrare la cosa pubblica; nel nostro mettere in discussione la scienza (si pensi ai NoVax); nel rapporto con la scuola, di cui ci consideriamo clienti in diritto di pretendere e sindacare. La domanda latente è: ma chi è il professore per poter giudicare mio figlio? E se non gli si riconosce più autorevolezza è soprattutto perché sono pagati poco. Oggi tutto viene soppesato sulla base del valore economico, quindi il primo passo per un’inversione di tendenza è ridare status economico e sociale ai docenti. La mancanza di rispetto verso i professori non è un problema solo nelle aule, lo è soprattutto fuori». C’entrano i politici che usano “professoroni” in senso dispregiativo o il ministro che invitava a preferire il calcetto ai curriculum per trovare lavoro? « C’entra un’idea di leadership veloce che predilige il fare al pensare e tende a togliere di mezzo quello che si frappone tra la decisione e l’azione, fosse anche il parere di studiosi autorevoli. C’entra
l’errata convinzione che si possano liquidare temi importanti con una battuta, cosa che a scuola non reggerebbe unminuto: lì se ti interrogano e te ne esci con una battuta magari la classe ride, ma il professore ti mette quattro. Ma nella nostra visione distorta a mettere i voti è la classe e il professore può solo ridere o piangere». Sempre più spesso piange. Come a Lucca, Velletri o Pontedera... «Episodi come questi sono il risultato proprio di quella tendenza a non riconoscere autorevolezza ai docenti. Sia chiaro, non voglio beatificarli, molti di loro sbagliano (come la maestra di Torino che urlava contro la Polizia). Ma ci sono anche quelli come la professoressa Di Blasio che, sfregiata da un suo alunno, reagì chiedendosi: “Dove ho fallito?”. Che è la domanda che si pone chi ama il proprio lavoro. È da quelli come lei che bisogna ricominciare per invertire la tendenza». Sul tema Michele Serra ha scritto una controversa rubrica. Sosteneva tra le altre cose che negli istituti tecnici il rischio violenza sia più elevato. Concorda? «Quella rubrica è stata fraintesa. Però sono convinto che violenza e bullismo non abbiano alcun legame con la classe sociale d’appartenenza. L’ignoranza è incapacità di leggere il mondo e può coesistere con otto lauree. Un istituto tecnico, poi, non è di per sé inferiore a un liceo, è la lettura che ne diamo che condanna chi lo frequenta al mero apprendimento di “una” tecnica, quando invece l’insegnamento di quegli istituti consiste nel dare gli strumenti cognitivi per apprendere qualsiasi tecnica. Gli istituti tecnici vanno rivalutati o ha gioco facile la Confindustria di Cuneo quando invita i ragazzi a studiare da operai perché di quello le aziende avranno bisogno. Che è un po’ come dire: beviti l’uovo, che la gallina tanto non l’avrai mai». La scuola va ri-riformata? «Tutti i governi recenti hanno fatto riforme della scuola, peggiorando le cose perché non partivano dalla sua rivalutazione culturale. È passata l’idea che la “buona scuola” sia quella che ti mette in contatto col mondo del lavoro, neanche fosse apprendistato. La scuola invece deve formare la persona, non ha come fine il lavoro. Il mio professore di filosofia, Dario Antiseri, diceva: non c’è nulla di più pratico di una buona teoria. Pensare è la chiave per trovare soluzioni e se insegni a pensare la soluzione prima o poi arriva. Questo Paese si salva solo se la politica assume come priorità questa idea di scuola». Lei è figlio di una professoressa. A sua madre è mai capitato di avere allievi difficili? «Come a tutti i professori. Ma allora la risolvevano con l’autorevolezza che il mondo riconosceva a chi insegnava. Il professore poteva gelare l’allievo con una parola perché tutto intorno il mondo gli dava ragione. Oggi il mondo tende a dare ragione al bullo...».
«ANCHE MIA MADRE AVEVA ALLIEVI DIFFICILI»