Royal baby
Fanno un avita d’ inferno
Un futuro di pantaloncini ben stirati, weekend al castello, discese sulle piste immacolate di Gstaad. Visto dalle pagine dei giornali, il destino del principino Louis - il terzogenito di William e Kate - è uno spettacolo. Il solo a non doversi preoccupare, né ora né mai, di dover pagare una bolletta, sai che pacchia? E invece, assicura il giornalista e scrittore Antonio Caprarica, la vita dei pargoli reali non è dorata quanto sembra. Madri an affettive, precettori violenti, zero privacy: nel suo nuovo libro Royal Baby - Vitemagnifiche e viziate degli eredi al trono (Sperling&Kupfer), Caprarica ha pas- sato in rassegna la vita dei rampolli blasonati di tutta Europa, dai tempi di Giorgio IV (1714) ai giorni nostri. E assicura: «Visti da fuori, sembrano bimbi come tutti gli altri. Ma la verità è che sono dei piccoli alieni». Povero Louis, è appena nato! «Appunto. Quanti neonati conosce che a sette ore dalla nascita sono stati costretti a uscire per strada per essere dati in pasto ai fotografi?». In effetti. «E a Louis va ancora bene, perché ha la fortuna di essere il terzogenito e, come suo zio Harry, godrà di una relativa libertà. Ma George, che ogni giorno si sente dire di camminare così e salutare cosà perché un giorno sarà re, immaginatevi che tormento». Eppure Kate sembra una mamma normale, coi piedi per terra.
«LA MONARCHIA SI BASA SOLO SULLA GENETICA: DIVENTI RE NON PER MERITO, MA PER CASO»
«Diciamo che ci prova, come Diana prima di lei. Tanto che ha mandato George alla Thomas’s Battersea, una scuola privata, frequentata da tante famiglie normali. Ma George è pur sempre un futuro sovrano, non sarà mai padrone della sua vita». Addirittura. «La monarchia si basa su una lotteria genetica: sei re - o principe - non per merito, ma perché ti è capitato. Il solo fatto di essere nati in una famiglia reale destina questi bambini ad avere una legione di maggiordomi che li osanna- no, ma anche regole di vita alle quali non potranno mai sfuggire. Senso di onnipotenza e costrizione, un binomio micidiale per un bambino». Può farci un esempio? «Pochi lo sanno, ma William è stato un bambino molto infelice. I dolorosi conflitti fra Carlo e Diana, sommati alla rigida etichetta di corte, l’avevano trasformato in una piccola peste. A tre anni prendeva a calci i domestici, gettava a terra il piatto se il pranzo non gli piaceva e minacciava le maestre d’asilo: “Nessuno può dire a me che cosa devo fare!”. Se William cambiò, diventando la persona gentile che è adesso, è tutto merito dell’amore di Diana e di una nanny speciale. Ma non tutti i rampolli hanno avuto la sua fortuna».
Cioè? «Prenda Vittorio Emanuele III, nato rachitico e apertamente disprezzato dal padre Umberto. Da bambino, la sua educazione prevedeva sveglia alle 5 del mattino, preghiera, equitazione, prove ginniche e di resistenza. Per lui, d’indole mite e studiosa, era un’umiliazione continua». Crescendo va meglio? «Per nulla. Nel collegio-caserma di Cheam, dove il padre Filippo l’aveva spedito, Carlo subì ogni sorta di angheria: i suoi compagni lo colpivano nel sonno e approfittavano delle partite di rugby per dargliele di santa ragione. E la principessa giapponese Aiko, figlia di Naruhito, per un periodo lasciò la scuola perché veniva dileggiata e isolata. È un classico: coloro che domani saranno costretti a inchinarsi te la fanno pagare, finché possono. Non è un caso chemolti di questi rampolli finiscano poi a far bisboccia fra alcol e belle ragazze». Be’, potrebbero pur sempre cercarsi un lavoro… «E come fanno? Qualsiasi iniziativa prendano c’è subito qualcuno che grida al conflitto d’interessi. Edoardo, l’ultimogenito di Elisabetta, ci aveva provato, fondando una casa di produzione televisiva. L’hanno talmente osteggiato che ha dovuto mollare. Il vero lavoro dei reali è quello di essere un simbolo, un’istituzione: eventi benefici, bei discorsi, sorrisi, senza mai poter esprimere un’opinione personale. Una vita da disadattati». I nuovi reali saranno almeno genitori migliori? «William pare un padre affettuoso, in questo l’amore incondizionato di Diana l’ha aiutato. Victoria di Svezia è una mamma spiritosa e alla mano, amatissima dai sudditi. E anche Felipe di Spagna, che pure non è nato in una famiglia felice, fa di tutto per mostrarsi coinvolto nell’educazione di Leonor e Sofia. Ma le costrizioni della monarchia stanno strette anche a loro: non è un caso che tutti e tre abbiano scelto mogli o mariti borghesi». Il rampollo della storia che le sta più simpatico? «Giorgio IV d’Inghilterra, sovrano settecentesco. Ragazzo intelligente e colto, girava in incognito per le bettole dei bassifondi londinesi, impazziva dietro alle gonnelle e mangiava e beveva fino a finire sotto al tavolo. Anche lui era stato sottoposto a un’educazione rigidissima, ma se ne fregò bellamente».
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