Massimo Giletti «Io, dalla parte delle donne nel mirino della mafia»
«QUANDOLE SORELLE IRENE E IN AMI HANNO VISTO CI SIAMO ABBRACCIATI CON LE LACRIME AGLI OCCHI », DICE .« DA ANNI DISTRUGGONOLE LOROCOLTIVAZIONI, BOICOTTANOIL LORO FIENO...». LEISTITUZIONI SI SONOMOSSE. MANONÈFINITA
Campi, fiori dimontagna e strade che s’inerpicano verso l’alto, fino a mille metri. Qui, tra Corleone e Mezzojuso, in provincia di Palermo, il tempo sembra immobile, racchiuso in un quadro dove il verde dei prati sposa l’azzurro del cielo. Qui Massimo Giletti, conduttore di Non è l’Arena, su La7, è stato nei giorni scorsi. «Con i Carabinieri di Mezzojuso, accompagnato dal capitano Alberto Tulli e dal maresciallo Pietro Saviano, sono andato a trovare le sorelle Napoli che da anni si battono contro la mafia dei pascoli. Ho voluto capire come mai Irene, Anna e Ina finora hanno avuto difficoltà a portare avanti le coltivazioni di fieno e grano. Ho voluto vedere come mai i loro terreni, 70 ettari immersi in una conca meravigliosa, in passato sono stati devastati dalle mandrie», dice Massimo Giletti che da due mesi, con il suo programma, si occupa della battaglia delle sorelle Napoli. «Là ho incontrato Irene e Ina. Non
mi aspettavano, e vedendomi hanno pianto. Ci siamo abbracciati con le lacrime agli occhi», racconta Giletti. Che cosa ha visto, che cosa ha capito andando là? «Ho visto una grande bellezza naturale, un posto meraviglioso: sembrava di stare in un quadro del pittore siciliano Francesco Lojacono. Ho capito quali sono le difficoltà che le sorelle Napoli incontrano nel gestire un territorio così vasto. “Finalmente, il frumento cresce. Erano anni che non succedeva e ci sembra un miracolo”, mi hanno detto Ina e Irene ringraziandomi per il sostegno che sto cercando di dare. Forse ora anche le mucche guardano La7, visto che non distruggono più le coltivazioni, abbiamo commentato cercando un po’ di ironia nel dramma». Ha dato voce alle sorelle Napoli: ora com’è la situazione? Che cosa sta cambiando? «Da 11 anni queste donne sono sotto attacco, da quando hanno perso il padre. Vivono a Mezzojuso con la madre e finora hanno combattuto contro chi voleva negare il loro diritto a coltivare la terra. Hanno da sempre denunciato le difficoltà e i Carabinieri non le hanno mai lasciate sole. Dal 2014, hanno presentato 28 denunce. Ma la situazione è rimasta difficile per troppi anni. Le mandrie distruggevano le coltivazioni. In passato la famiglia Napoli produceva tonnellate di frumento mentre lo scorso anno ha raccolto solo pochi chili di grano. E delle 9 mila balle di fieno di un tempo, l’anno scorso ne sono state fatte solo 320, che nessuno ha vo-
luto comprare. Le tre sorelle si sono sentite sole per troppo tempo. Ora il vento sta girando: si sta realizzando una recinzione, c’è la videosorveglianza, c’è chi vigila. Quando sono stato a Mezzojuso, ho visto che alcuni uomini del Corpo forestale erano nella zona dei terreni delle sorelle Napoli a sorvegliare, grazie all’assessore regionale Edi Bandiera che ha mantenuto la promessa di dare il sostegno della Regione. Sono convinto che, col contributo del prefetto di Palermo Antonella De Miro e del colonnello dei Carabinieri Antonio Di Stasio, comandante Provinciale, le cose cambieranno. E poi, le istituzioni non sono sole in questo impegno. Un produttore di pasta siciliano, Giovanni Leonardo Damigella, ha promesso che regalerà le sementi alle sorelle Napoli e farà un accordo per comprare il loro raccolto. E Paolo Carraro, imprenditore toscano, il 23 maggio, giorno in cui ricorre l’anniversario della morte del giudice Falcone, della moglie e della scorta, consegnerà una mietitrebbiatrice». Con questa battaglia si è fatto anche qualche nemico, sono nate polemiche, con la vicepresidente della consulta giovanile o il sindaco di Mezzojuso, Salvatore Giardina… Come si difende? «Sono rammaricato per le reazioni di alcuni cittadini di Mezzojuso e del sindaco, che ha minacciato querele. Ma noi vogliamo solo la verità. Come sosteneva Pirandello, a volte si incontrano molte maschere e pochi volti. E questo capita dappertutto, non solo in Sicilia. Ma io sono stanco di vedere maschere, io sono per la giustizia. E molti in Sicilia si battono per realizzarla». Continuerà a occuparsi delle sorelle Napoli? «Continuerò a farlo finché il loro problema non sarà risolto: finché il fieno e il grano non saranno raccolti, il mio programma vigilerà. E d’estate, come promesso al brigadiere Domenico Maniaci, sarò lì con gli scout». Ha avuto paura in questi mesi? «Chi non ha paura è incosciente. Ricordiamo che questa è la terra di un boss del calibro di Povenzano. Ma la paura non può essere un alibi. La dignità viene prima di tutto. Per esempio, la decisione di lasciare la Rai, l’anno scorso, mi è costata sofferenza e fatica, ma ho scelto di farlo proprio per una questione di dignità. Anche la tv può contribuire ad abbattere muri di gom- ma. Io voglio provare a farlo, voglio dare voce alla Sicilia vera». Si sente un paladino? «No, sono un giornalista, che non ha mai girato la testa dall’altra parte. In tv si può fare denuncia, si può suscitare riflessione. Ho da poco ricevuto il Premio Guido Carli per l’impegno con cui cerco di fare il mio lavoro».
Non è l’Arena ha fatto buoni ascolti: tornerà nella prossima stagione tv? «Del futuro professionale parlerò prossimamente con l’editore di La7, Urbano Cairo. Questa è stata un’annata straordinaria. Abbiamo fatto ascolti impensabili, contro una programmazione fortissima. Nella collocazione di Non è l’arena, prima non c’era un programma di attualità e oggi la trasmissione è un appuntamento per tanti, con un ascolto vicino al 7 per cento di share. Un successo e un risultato non scontati». L’anno scorso ha lasciato la Rai per La7, dopo la decisione dei vertici dell’azienda di chiudere il suo programma L’Arena: le manca la Rai? «La Rai occupa un posto importante nel mio cuore. Non potrò mai dimenticare l’azienda dove sono nato professionalmente e cresciuto. Sono stato costretto a lasciarla, e questo addio rappresenta ancora una ferita profonda, che difficilmente si rimarginerà. La chiusura dell’Arena da parte dei vertici Rai è stata una decisione gravissima, una mancanza di rispetto, non tanto per me, ma per i quattro milioni di persone che seguivano il mio programma». Se oggi la chiamassero in Rai, tornerebbe là? «Del futuro sa solo Dio. Nel presente, ringrazio Urbano Cairo per avermi offerto una nuova opportunità professionale, in un momento per me difficile».