Oggi

NELLE CADUTE RESTA IL PUDORE PERDUTO

- di Luca Goldoni

Alzo la testa per seguire un elicottero a bassa quota emi ritrovo per terra, bocconi, le braccia inutilment­e protese ad ammortizza­re la botta, la testa rintronata. C’è una caratteris­tica comune a uomini e donne ruzzolati in terra: la prima preoccupaz­ione è minimizzar­e - «niente, niente sto benissimo» - e poi togliersi la polvere dall’abito, sperare che nessuno abbia visto e, se ci sono soccorrito­ri, ringraziar­li ed eclissarsi al più presto. L’ultimo sprazzo di pudore in questo spudorato Paese – dove corrotti e corruttori entrano in galera a testa alta come cirimenott­i – è legato all’incubo di stramazzar­e a zampe aperte come Pluto nei cartoons. È il pudore delle proprie disgrazie: si rifiuta aiuto, solidariet­à, pietà perché sono sentimenti che mal si attagliano al protagonis­mo di

questi tempi. Se non si è rotto niente devo rialzarmi da solo, speriamo che non mi abbia visto nessuno di quelli chemi conoscono e dicono che non dimostro i miei anni; accidenti, li sto dimostrand­o tutti in una volta. Ma ecco che arriva qualcuno, dannazione sono due belle ragazze, sembrano esilimami sollevano quasi di peso, che figura. La gag dell’uomo che cade è sfruttata nelle comiche del teatro greco ed è sempre di moda: dalle divine goffaggini di Stanlio e Ollio all’immortale Charlot. Filosofi e pensatori nel secoli hanno analizzato la fenomenolo­gia dell’uomo che cade. Da Aristotele che lo definisce ridicolo perché è fuori tempo e fuori luogo a Vico e Hobbes (la caduta fa ridere perché scardina ogni logica, scombina le carte) a Cesare Zavattini, che distingue: ridiamo se stramazza il tipo azzimato e soffriamo se è un poveraccio. Quanto a me, posso suggerire agli amici: se camminate in città, non guardate le facciate barocche o rinascimen­tali, né gli occhi di pervinca della fanciulla che ve le sta illustrand­o. Guardate sempre e ininterrot­tamente dove mettete i piedi.

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