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EDITORIALE

L’OSSESSIONE DI RIPRENDERS­I E DIFFONDERE LA FOTODI SE STESSI, ANCHE INMOMENTI CRITICI

- di Umberto Brindani

Attenzione: questo editoriale è vietato aiminori di, vediamo, 18 anni? O forse 20, 25? Insomma, è vietato ai più giovani. Non fatevi cattive idee: non parla di sesso, né di violenza. Parla di smartphone e di selfie, e vorrei evitare di essere preso in giro dai Millennial­s per il mio atteggiame­nto trogloditi­co. Perché io, lo confesso, questa mania dei selfie non la capisco proprio.

Una volta c’era l’autoscatto. Era una specie di rito collettivo, o al massimo di coppia. Ci si metteva in posa tutti insieme, possibilme­nte con uno sfondo decente (mare, monti, città d’arte), e il proprietar­io della macchina fotografic­a si doveva ingegnare a trovare un posto dove piazzare l’apparecchi­o inmodo stabile, affinché la vibrazione prodotta dall’otturatore non lo facesse rovinare a terra. Chino con l’occhio nelmirino, il fotografo cercava di inquadrare almeglio, poi con estrema delicatezz­a spostava l’apposita levetta e si precipitav­a a prendere posto nel gruppetto, o al fianco della fidanzata, inalberand­o un sorriso d’ordinanza che doveva durare almeno una decina di secondi, cioè fino a quando il maledetto aggeggio giapponese non avrebbe scattato lamaledett­a foto. Attesa. Lunga attesa, immobili. «L’ha fatta?», chiedeva sempre qualcuno digrignand­o i denti per non far svanire il tentativo di sorriso. Ma sì che l’ha fatta, dai. E nel preciso istante in cui partiva il «sciogliete le righe»… Clic. Ma nooo! Rifacciamo.

Esisteva anche l’altra modalità, che prevedeva di fermare un passante e chiedere: «Scusi, ci farebbe una foto?». Con la variante estera («Eschius mi, chen iu teic a foto?»). Se possedevi una preziosa Leica o una ipertecnol­ogica, per l’epoca, Nikon il rischio era che il passante se la svignasse con la tua fotocamera, ma bastava scegliere una famigliola e il pericolo era scongiurat­o. Quegli scatti venivano poi stampati su carta o religiosam­ente conservati nei caricatori per il proiettore di diapositiv­e (io li devo avere ancora tutti, da qualche parte). Diventavan­o oggetti fisici di esclusiva proprietà dell’autore, che al massimo li mostrava ad amici e parenti al ritorno dalle ferie, e tutto finiva lì.

Questo avveniva nel Pleistocen­e, cioè fino a una dozzina di anni fa. Non so bene come sia successo, ma nel giro di pochissimo tempo sono sparite le macchine fotografic­he e anche i rullini di pellicola, le diapositiv­e, gli ingrandito­ri per la camera oscura e tutto l’armamentar­io di chi si cimentava, da dilettante, nello scattare fotografie. Nello stesso tempo sono scomparsi i «telefonini», ormai sostituiti dagli smartphone, che fanno di tutto tranne un buon caffè. E fanno, ovviamente, fotografie. E infine, terzo avveniment­o epocale, sono esplosi i social network, che consentono di condivider­e le foto non con la platea ristretta dei condannati alle serate delle «diapositiv­e delle vacanze», ma in pratica con l’universo mondo. La somma di questi tre fenomeni (morte delle fotocamere, avvento degli smartphone e boom dei social) ha prodotto quell’ossessione di massa che ha preso il nome di selfie-mania.

Le persone non rivolgono più l’obiettivo verso la realtà esterna, ma verso se stesse, e diffondono i propri autoritrat­ti nel cyberspazi­o, a disposizio­ne di chiunque. Nel bagno di casa seminudi (o nudi), ma anche davanti alle macerie dell’Hotel Rigopiano o a pochi metri da un incidente stradale, insomma in qualunque situazione si senta la necessità di far sapere agli altri: «Io esisto! Io c’ero! E sono un figo pazzesco!». Ha fatto indignare tutti la scena del ragazzo che, alla stazione di Piacenza, si riprende inquadrand­o se stesso e una donna riversa sui binari con una gamba maciullata da un treno. Ma altri, tanti, ragazzi e ragazze, sono morti e continuano a morire per un selfie nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non la faccio lunga, non voglio trarre una morale dove è difficile perfino individuar­e una logica. Ma lasciatemi dire ( per questo l’articolo è vietato ai minori, i quali non possono capire) che ho un po’ di nostaglia per il vecchio, caro e raro autoscatto in compagnia.

 ??  ?? Il selfie che ha fatto indignare tutti: alla stazione di Piacenza un ragazzo si riprende con alle spalle una donna travolta da un treno. È intervenut­a la Polizia.
Il selfie che ha fatto indignare tutti: alla stazione di Piacenza un ragazzo si riprende con alle spalle una donna travolta da un treno. È intervenut­a la Polizia.
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