EDITORIALE di Umberto Brindani
PICCOLA CRONACA DI UNA SERATA TELEVISIVA PIENA DI DOMANDE SENZA RISPOSTA
Domenica sera, davanti alla tv per la partita Brasile-Svizzera, mi sono sorpreso a fare il tifo per gli elvetici. Be’, fare il tifo è troppo, diciamo simpatizzare, come si fa sempre per chi, sulla carta, è più debole. Il Brasile è favorito per la vittoria finale neiMondiali, pieno com’è di campioni e giocolieri, mentre la Nazionale degli orologi a cucù è un’onesta accozzaglia di lavoratori della palla, che infatti ha strappato un pareggio solo grazie a una spintarella in mischia sotto porta. Poi, astraendomi un istante dalmondo del calcio, ho pensato che il Brasile ha una popolazione 25 volte superiore a quella elvetica, e un prodotto interno lordo pro capite quasi dieci volte inferiore (8mila dollari contro 78 mila). Quindi a quel punto avrei dovuto invertire le mie simpatie: gli straccioni per cui parteggiare erano i carioca, non i rappresentanti ufficiali dei banchieri più ricchi e riservati del pianeta. Già, ma quegli “straccioni” dei brasiliani, con il mitico Neymar in testa, incassano mediamente in un minuto passato a rincorrere un pallone più di quanto la maggior parte delle persone guadagni in un’intera vita di lavoro. E allora siamo daccapo: viva la Svizzera?
IMondiali di calcio senza l’Italia sono un tormento. Il più grande spettacolo (sportivo) dopo il Big Bang ci lascia confusi e smarriti, tanto più in un momento storico in cui, complici i sommovimenti politici da noi, in Europa e in tutto il mondo, avremmo bisogno di robuste iniezioni di orgoglio nazionale. Siamo come bambini a cui è stato tolto il giocattolo e devono stare lì a guardare gli altri divertirsi. Sì, perché nonostante la clamorosa assenza degli azzurri, gli italiani queste partite le guardano eccome. La Russia contro l’Arabia Saudita, il Marocco contro l’Iran, la Polonia contro il Senegal… Ma chi se ne frega, direbbe la logica. E invece no: perfino i match più surreali, tipo Serbia contro Costa Rica, fanno ascolti televisivi notevolissimi, anche se magari confondiamo la Serbia con la Croazia e il Costa Rica con Panama (sono nazioni presenti ai Mondiali, occhio). Il tutto per la felicità di Mediaset, che a suo tempo comprò i diritti esclusivi, e il rosicamento della Rai, che ci rinunciò e adesso arranca nelle retrovie con la ribollita di fiction e telefilm.
Così, il gioco di società è diventato quello di scovare una Nazionale per cui tifare. Va forte l’Islanda, grazie alla «narrazione» (in gran parte falsa) che la presenta come una squadretta di simpatici dilettanti, chi fa il fabbro e chi l’arrotino, generata da un Paese che ha più geyser che abitanti, e comunque con una popolazione totale inferiore a quella della sola Bologna, per dire. Ma per il resto, buio totale, a parte i salviniani duri e puri che ovviamente tengono per la Russia dello Zar Putin e sperano in una Finale contro la Spagna dell’odiato neopremier socialista Pedro Sanchez, così gliela facciamo vedere, e imparano ad accogliere la Aquarius e farci fare la figura di quelli che hanno «un bidone di spazzatura al posto del cuore» (Gigi Buffon dixit, sebbene in un’altra occasione, giusto per stare in tema di pallone).
Insomma, finisce la partita, Brasile 1 e Svizzera 1, con Neymar che si metterebbe le mani nei capelli se non temesse di rovinare l’ardita acconciatura Trump-style. Cambio canale e sulla 7 chi ti trovo? A Non è l’Arena di Massimo Giletti c’è Fabrizio Corona, per la prima volta in tv a gridare la sua verità sulle ultime vicissitudini giudiziarie. Ed è questo il vero, grande spettacolo, altro che i Mondiali! A fronteggiare e incalzare il cosiddetto «re dei paparazzi» c’è in pratica solo il conduttore e uno stranito Giampiero Mughini. Alessandro Cecchi Paone e Nunzia De Girolamo scelgono la strada della prudenza, una tale Francesca Barra opta per l’adorazione in diretta.
Devo confessare che Giletti mi aveva invitato, ma ho declinato, come altri: non avevo nessuna voglia di sentirmi dire da un avanzo di galera, come è capitato al poveroMughini, «buffone, ti compro e ti metto in giardino». A parte che come nanetto sarei stato un po’ ingombrante (sono alto un metro e 94), la vera domanda è: quale giardino? Quello di San Vittore?