Simona Atzori
«Mi sento senza braccia solo se mi lego i capelli» di Erika Riggi
Il dubbio è amletico. Come si dà la mano a una donna senza braccia? «Ci baciamo?». La soluzione, semplice e simbolica, la trova lei, Simona Atzori: ballerina e pittrice, scrittrice e, più di recente, “motivatrice” presso aziende, scuole, banche. Una giovane donna di bell’aspetto, accidentalmente senza braccia. «Quando il muro del saluto si abbatte, il resto è facile. Ma tocca a me farlo, aiutare le persone a sentirsi a loro agio. Per questo bacio sempre tutti». Sorride mentre si siede e sfila i sandali gioiello. «Mimetto comoda...». È un attimo, i piedi si alzano a cornice del volto, come fosseromani. Osservo - prima di sottecchi, poi palesemente - le unghie piccole laccate ciliegia, gli anelli d’argento alle dita, la grande flessibilità dell’arco plantare che arriva a chiudersi su una penna, per firmare un autografo. Soprattutto, la grazia con cui si muovono. Meglio: gesticolano. «Ebbene sì, come tutti gli italiani, gesticolo», ride. Balla e dipinge da quando era bambina. Scrive e fa la “coach” solo da pochi anni: il corpo ha saputo parlare prima della voce? «Dovevo partire dal corpo per raccontare la mia storia perché era quello che le persone notavano e percepivano come ostacolo. Chi ha visto lamia arte ora vuole conoscere il backstage». Perché proprio ballerina? «Perché è il sogno di ogni bambina. Mia madre, che era una donna straordinaria, mi dava fiducia qualsiasi desiderio esprimessi. Almeno così pensavo: ballerina, pittrice, maestra, giornalista. Puoi fare tutto, mi diceva mentre la gente storceva il naso, basta impegnarsi. Solo una volta, appena uscita dal dentista, quando mi lanciai sull’ipotesi di diventare dentista anche io, mi ha frenato: “Simo, dai, i piedi in bocca alla gentemagari no”. Era un tipomolto ironico. Ma è stato allora che ho capito che i suoi incoraggiamenti erano realistici, e mi sono svincolata dallo sguardo degli altri: per loro non avrei fatto mai nulla. E invece posso fare tutto, o quasi». Nei suoi libri racconta alcuni traumi: non la vita senza brac-
cia ma la morte di sua madre, la separazione dal suo compagno. Lutti familiari a molti. «Sono tutti bivi, momenti in cui ci troviamo a fare scelte che poi determinano la qualità di quello che verrà. Li dobbiamo affrontare tutti. La differenza è che io, il mio primo bivio, l’ho vissuto il giorno zero: allora sono stati i miei genitori a scegliere per me, al posto della commiserazione, la scoperta delle potenzialità. Ma questomi ha allenato a comprendere quando sia importante ripartire dopo un evento drammatico, anche... praticamente». E come si fa? «Per esempio, quando in sei mesi ho perso mia madre e il mio compagno, ho cambiato armadio: ora ho solo vestiti che posso mettere da sola, con l’elastico, che si infilano. Ma non è un grande problema, io odio i bottoni, soprattutto quelli che sono solo decorativi. Lamia è proprio una fobia dei bottoni, si chiama koumpounophobia ». Scusi? «Ce l’ho fin da bambina. Mia madre ci scherzava: “Mia figlia è pazza, che non abbia le braccia è la cosa minore”. Forse c’entra- no quei terribili esercizi con le protesi: dovevo prendere i bottoni con lamano “finta”, e dividerli, ma sgusciavano...». Ha lasciato perdere le protesi anche per questo? «Ci sono ragioni pratiche: al contrario di Bebe Vio, che un gomito ce l’ha, a me manca tutto, la tecnologia non mi regaleràmai la naturalezza e l’ampiezza dimovimento che ho nei piedi. Che ho io ma che abbiamo tutti: quando incontro i bambini, nelle scuole, lo capiscono subito». Gli adulti faticano? «Spesso mi accorgo di essere uno specchio delle scuse che ognuno si inventa per non essere felice: sono “quella che ha una marcia in più”. O, persino, un alibi che consente di dirsi “io non ce la posso fare”. Se non un essere da commiserare, per sentirsi migliori. E invece la forza che ho io ce l’hanno tutti, con o senza braccia». Soffre gli sguardi? «Li reggo bene, fino a un certo punto. L’altro giorno, in aeroporto, iniziavo a spazientirmi: nonostante i miei sorrisi, una signora non riusciva a staccarmi gli occhi di dosso. Fino al gate, quando ci siamo trovate vicine: le ho sorriso ancora, “signora, non si preoccupi, lei le braccia le ha!”. È tutto qui, se pensi che la bellezza sia avere le braccia, stai pure dove stai, va bene così». È vanitosa? «Mi piaccio e mi piace piacere: non esco mai senza trucco e adoro i miei capelli, come Sansone. Sono la mia forza e parte delmio corpo, sul palco danzano conme. Anzi, mi sento senza braccia con i capelli legati. E poi mi piacciono le scarpe, come a tutte le donne: anche per questo sono felice di essere la testimonial di Pittarosso. Anche se, per la verità, quando sento usare l’espressione “sembra di indossare un guanto” non sono sicura di sapere che cosa significhi». Nell’ultimo libro, La strada nuo
va, racconta di quando suo padre si è sentito male in bagno e non ha potuto sostenerlo fisicamente. «Quella volta sì, mi sono mancate le braccia. Ma l’ho aiutato con la voce. E ho capito di essere di fronte a un nuovo bivio che, però, per la prima volta, ho scelto di vivere con consapevolezza, vigile nel mio dolore come nelle piccole conquiste quotidiane. E siamo ancora qui, vivi».