La bimbaGioia
I genitori lanciano un appello tramite Oggi di Michela Auriti
ÈGioia a darci coraggio con la sua ostinata voglia di vivere. Ci sono stati momenti in cui abbiamo perso la speranza, in cui i medici non facevano che brutti pronostici. E invece lei, piccola combattente di tre anni e mezzo, finora è riuscita a smentirli». Lo dicono con orgoglio, mamma Serena e papà Giovanni, mentre la loro figlioletta gioca col tablet e si diverte a stropicciare due animaletti di peluche. Gioia è la bambina con il cuore artificiale più piccolo al mondo e vive in questa stanzetta dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù, reparto di Cardiologia. I suoi genitori, che non la lascianomai, hanno ora bisogno di aiuto concreto: donazioni e solidarietà. «La sua salute è delicata», spiega Giovan- ni Marano, 38 anni. «Mia figlia non può muoversi dall’ospedale benché, in futuro, questo mini-cuore dovrebbe permettere ai bambini in attesa di trapianto di tornare a casa. Ma proprio perché non ci sono precedenti, con Gioia i medici usano prudenza. Hanno lasciato decidere a noi se tentare o meno l’operazione: anche di fronte a una solapossibilità, avremmodetto sì».
«NESSUNO CREDEVA CHE POTESSE PARLARE»
«Pa-pà», ripete la piccola, «mam-ma». Eccola, mamma: Serena, 28 anni, forte come nemmeno lei pensava di essere. «La nostra odissea è cominciata un anno fa a Montella, in provincia di Avellino. Mia figlia accusava fastidiosi mal di pancia. L’abbiamo portata dalla pediatra e ladiagnosi è statadi semplice gastroenterite. Ma continuava a star male e io mi sono impuntata: andiamo in ospedale». «Ad Avellino si sono accorti che la situazione era seria», continua il papà. «Subito ci hanno spostato alMonaldi di Napoli, dove però i trapianti pediatrici sono sospesi da due anni, e da lì in elicottero al Bambino Gesù. Qui Gioia è rimasta dieci mesi interapia intensiva e la diagnosi è stata senza appello: miocardiopatia dilatativa, l’unica speranza è il trapianto. Ma per un organo nuovo si possono aspet-
tare anche anni, per questo i bimbi in attesa vengono collegati a macchine che permettano ai loro poveri cuori di funzionare». Gioia ha avuto un percorso ospedaliero tremendo. «Nessuno credeva che avrebbe ricominciato a parlare dopo l’emorragia cerebrale e l’ischemia che le hanno tolto l’uso della parola e bloccato la parte sinistra del corpo», racconta il papà. «Aveva subito anche un danno alla deglutizione e sembrava non dovesse mangiare più: i medici ci avevano prospettato l’alimentazione artificiale... Invece, un giorno di dicembre, sono andata da lei con un bel pezzo di lasagna», ricordamammaSerena, «e l’hamangiato tutto! Ha sempre detestato i cibi liquidi, la mia piccola. Vede? I medici sono stati smentiti una voltadi più. Ci avevanodetto anche che avrebbe avutodei danni a livellomoto- rio, ma quandoGioia si è cominciata a svegliare ha voluto mettersi il burro di cacao da sola. Lamia bambina capisce tutto e sembra anche più forte di tutto». Gioia è stata colpita anche da una seconda ischemia, come se il destino non si fosse già abbastanza accanito, ma questa volta senza conseguenze importanti. «La nostra vita è cambiata da un momento all’altro», racconta Giovanni.
«Da un anno non siamo più tornati a casa, viviamo al suo fianco. Nostra figlia qui dentro ha l’assistenza migliore, a noi hanno dato un posto letto. E ci alterniamo, io e miamoglie, andando a dormire a turno in un istituto religioso. Stiamo combattendo insieme a Gioia ma per lei abbiamo lasciato tutto e non sappiamo più come vivere. Avevamo due mestieri precari, io operaio e Serena colf, per cui non possiamo accedere ai pochi benefici che la legge assicura in situazioni come la nostra. Non rientriamo per esempio nella legge 104 che prevede l’assistenza con il mantenimento del posto di lavoro e una parte dello stipendio. Così ora abbiamo bisogno di aiuto, perché dobbiamo resistere. Dobbiamo continuare questa battaglia con nostra figlia. Perciò ho pubblicato un appello su Facebook, con il mio Iban, chiedendo solidarietà. Talvolta ci domandano perché uno di noi due non torna al lavoro. Ma mia figlia continua a essere in pericolo di vita, la situazione è delicatissima: come potrei allontanarmi?». Gioia, una bambina veloce e intelligente «che già sapeva contare e riempiva la casa con la sua voce», segue ogni movimento del papà e dellamamma. Dice Serena: «Qui in ospedale si perde la cognizione del tempo. Una volta al mese vengono a trovarci i nonni e specie a nonno Antonio, che le dava il biberon da piccola, lei è attaccatissima. Vede? I medici hanno fatto il loro lavoro, ma il risultato è tutto merito di Gioia. È bravissima a farci capire cosa vuole, se sta bene, se sta male. E ogni suo sorriso, ogni suo piccolo miglioramento, ci danno la forza di andare avanti». Mentre infiliamo la porta, Gioia fa ciao con lamanina e agita il gattino di peluche. È vero, ha una tenacia più grande del suo destino.