Daredevil selfie o challenge: così si rischia sul web
Andrea Barone, 15 anni, sabato scorso è morto cadendo per 25 metri in un condotto di aerazione aperto, dopo che si era avventurato sul tetto, chiuso al pubblico, di un centro commerciale a Sesto San Giovanni, alle porte di Milano. Sembra che con gli amici si fosse arrampicato fino in cima per scattarsi un selfie, o meglio un daredevil selfie, cioè quelle foto che vengono postate per testimoniare un’impresa pericolosa, o comunque insolita. In India ogni anno muoiono circa 80 ragazzi per uno scatto che testimoni il loro atto di coraggio. In realtà il daredevil selfie è solo una tra le tante azioni pericolose che vengono stimolate dal web. Ci sono le sfide, chiamate challenge in gergo, come mangiare un gessetto, o il contenuto di un pacchetto di sigarette, o addirittura un pastiglia di detersivo, come il Tide Pod challenge, che l’anno scorso ha fatto finire in ospedale una cinquantina di adolescenti americani. Poi ci sono imprese come il balconing, ossia buttarsi dai balconi per cadere magari nella piscina sottostante, oppure il train surfing (e il car surfing) ovvero stare in piedi sui tetti dei treni e delle auto in movimento e mille altre varianti, sempre pericolose e prive di senso. Il guanto di sfida può passare di smartphone in smartphone grazie ai social come Instagram o Facebook, magari su gruppi chiusi, oppure rimbalzare sotto forma di un filmato postato su YouTube. Ma i canali di diffusione sono infiniti, e arginare il fenomeno alla fonte è pura utopia. Igor Maj, ne parliamo nella pagina precedente, ha perso la vita per il gioco del “Blackout”, dove l’obiettivo è arrivare sul filo dello svenimento per mancanza di ossigeno. Secondo un’indagine condotta su 10 mila adolescenti dalla Società italiana di pediatria, disagio e autolesionismo dilagano grazie a internet e riguardano il 15 per cento del campione. Inoltre, il 50 per cento degli intervistati ha dichiarato di navigare sulla Rete la notte, all’insaputa dei genitori, mentre la paura di restare privi di connessione è diventata così diffusa da essersi meritata un neologismo: nomofobia. Si tratta nel complesso di un problema enorme a cui le istituzioni, anche sanitarie, stanno provando a rispondere. Ad esempio l’ospedale Fatebenefratelli di Milano ha aperto un centro di sostegno per gli adolescenti in balia dei fantasmi della Rete, ma è in famiglia che si deve innanzitutto vigilare.