Padre Pio Il racconto del fotografo Elia Stelluto di N. Allegri
«PRATICAMENTE TUTTE LE IMMAGINI DEL FRATE DI PIETRE L CINA LE HO SCATTATE IO », DICE ELIA STELLUTO. E OGNI SUO RICORDO È UN FLASH DI LUCE SUL MISTERO
C’’è fermento nel paese di San Pio. Migliaia di pellegrini da tutto il mondo si sono dati appuntamento in occasione delle due importanti ricorrenze che riguardano il santo, uno dei più amati, che tutti seguitano a chiamare affettuo- samente Padre Pio. Il 20 settembre ricorrono i cento anni dall’impressione delle stimmate e il 23 settembre sono i cinquant’anni dalla sua morte. In programma diverse cerimonie religiose e anche un grande convegno incentrato proprio sulle stimmate con la presenza di illustri teologi. Per l’occasione circoleranno a non finire foto del santo su striscioni, gigantografie e immaginette. «E sono praticamente tutte foto che ho scattato io», dice Elia Stelluto. «Posso dire senza sbagliare che quasi tutte le immagini che circolano nel mondo e che ritraggono Padre Pio, sono mie. Ho cominciato a fotografarlo nel 1947, quando avevo 12 anni. Enon ho mai smesso fino alla sua scomparsa.
Nessuno poteva fargli foto all’interno del convento tranne me. Potevo entrare ovunque, anche nella sua stanza, a qualsiasi ora. E sempre conlamacchina fotografica inmano. Mi aveva preso in simpatia e mi diceva: “Uagliò, fai tutte le foto che vuoi!”». Elia Stelluto, classe 1935, è uno dei più vecchi amici del santo. Ma non è un “nonnetto” che vive di ricordi. Elia è un vulcano di idee e progetti sempre in ebollizione. Infaticabile, viaggia di continuo per il mondo organizzando mostre fotografiche e tenendo conferenze su Padre Pio. «Sempre senza guadagnare un euro, lo faccio per lui, per il bene chemi voleva. Perme era come un papà».
«COMINICIAI UN GIORNO, QUASI PER CASO»
Lo studio di Elia, nel centro storico di San Giovanni Rotondo, straripa di immagini del santo. «Cominciai quasi per caso. Ero un ragazzino, facevo lavoretti per un fotografo del paese ed ero riuscito a comprarmi una modesta macchina fotografica. La portavo sempre con me anche quando andavo al convento. Padre Pio mi disse: “Uagliò,
chev’è chellamacchina?”. Glielo spiegai e, col suo permesso, cominciai a scattare. Ricordo la prima volta che usai il flash. Volevo documentare le stimmate. Padre Pio, durante laMessa, si toglievaimezzi guanti che coprivano le piaghe sulle mani. E alla fine della celebrazione, dando la benedizione ai fedeli con la destra alzata, lasciava vedere il palmo pieno di sangue. Ma la messa era alle 4 del mattino e avevo quindi bisogno di illuminare la chiesetta. Allora i flash erano strumenti grossi e pesanti. Ne avevo sistemato uno davanti all’altare ma al momento dello scatto era esploso un lampo accecante. Padre Pio aveva gridato: “Chiamate i Carabinieri!”, diceva spaventato. “Arrestate quel pazzo!”. Avrei voluto morire dalla vergogna. Più tardi, in sagrestia, mi aveva rimproverato dicendo: “Dunque eri tu che volevi uccidermi!” E poi: “Fa’ tutte le foto che vuoi ma senza quel mastrillo. Verranno bene lo stesso!” Il mastrillo, in dialetto, era la trappola per i topi. Da allora non usai mai più il flash.
PERFETTE ANCHE AL BUIO
Sembra incredibile ma anche al buio o in controluce le fotografie venivano come se fossero state scattate in condizioni di luce ottimali. Un prodigio che perme era l’approvazionediPadrePio. «Alcune delle foto che gli ho fatto nel corso degli anni, sono “storiche”, uniche e importanti», dice ancora Elia Stelluto. «Ad esempio quella con l’onorevole Aldo Moro. Nella foto, Padre Pio sorride mentre Moro gli tiene la mano. Quando però, l’onorevole se ne fu andato, il Padre divenne improvvisamente triste e disse a noi che eravamo presenti: “Quanto sangue, quanto sangue”. Forse, aveva intuito la tragedia che poi sarebbe accaduta ad Aldo Moro. L’immagine più intensa e drammatica però è quella delmaggio 1959. Padre Pio era malato, si diceva che avesse un tumore ai polmoni e stesse per morire. Ero entrato nella sua cella e l’avevo trovato addormentato. Non ho resistito e ho scattato la foto. Mostra tutta l’umanità del Padre, è struggente. Lo ritrae inerme, vulnerabile, avvolto nel lenzuolo, gli occhi chiusi e il viso sofferente. Tiene una mano coperta dal mezzo guanto sul cuscino e sopra di lui, sulla parete, il crocefisso sembra vegliarlo. Ogni volta che la guardo mi commuovo. «Ho fotografato Padre Pio per più di vent’anni», dice ancora Elia. «Ma solo una volta mi sono bloccato, quando lo vidi ormai senza vita, sulla poltrona della cella. Il dolore era così forte da farmi dimenticare la fotocamera. Era come se avessi perso un genitore».