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Aldo Cazzullo «Copiamo dai nostri nonni» di Andrea Greco

DOPO IL CONFLITTO IL PAESE VENNE RICOSTRUIT­O CON TANTO LAVORO E TANTO ENTUSIASMO. OGGI SIAMO UNA NAZIONERIC­CA CONVINTA DI ESSERE POVERA

- di Andrea Greco

«No dai, il parallelo Alcide De Gasperi/Giuseppe Conte proprio non si può fare». Aldo Cazzullo, editoriali­sta del Corriere della Sera, di fronte a questo paragone si impunta. Ma come siamo riusciti a trascinare la compassata firma del maggiore quotidiano italiano a lambire i confini dell’assurdo? Tutto inizia col saggio Giuro che non avrò più fame (Mondadori, euro 18), che Cazzullo ha appena pubblicato. Il tema sono gli anni entusiasma­nti della ricostruzi­one. Riflette l’autore: «Si parla spesso, e spesso a sproposito, degli anni del boom. Ma la ricostruzi­one tutti se la sono scordata: usciti dalla guerra il Paese era distrutto, ogni famiglia aveva un lutto, interi patrimoni erano stati azzerati. Eppure gli italiani di quegli anni avevano un ottimismo incrollabi­le e in dieci anni rimisero in piedi un’intera nazione».

Eravamo al parallelo Conte/ De Gasperi... «Ripeto, è un paragone impossibil­e. Se vogliamo giocare, una correlazio­ne la potremmo trovare tra i 5 Stelle di Beppe Grillo e il Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini».

Un personaggi­o dimenticat­o. «Commediogr­afo, giornalist­a, battutista. Giannini nel dopoguerra fondò un movimento che interpreta­va il sentimento antipoliti­co del tempo. Propose anche di far scegliere al caso un ragioniere e fargli amministra­re lo Stato. Grillo ha proposto di estrarre a sorte i senatori. Mi sembra che siano in perfetta sintonia. Anche se tra i due movimenti c’è una grande differenza».

Quale? «Giannini non andò mai oltre al 5,5 per cento dei voti, e al Nord era inesistent­e. I 5 Stelle sono al 32 per cen- to. Si vede che gli italiani del tempo preferivan­o sgobbare piuttosto che puntare al reddito di cittadinan­za».

Eppure i quattrini all’epoca avrebbero fatto comodo... «Certo, gli italiani erano poverissim­i. Pensi che ancora nel 1960 in Italia c’erano solo 6 abbonament­i telefonici ogni 100 abitanti. La carne in tavola ci arrivava solo per le feste e la frutta era un lusso. Eravamo tutti magri, senza bisogno di andare in palestra o metterci a dieta».

Eravamo a digiuno e fiduciosi, oggi siamo satolli e pessimisti... «Più o meno. In quegli anni ci si svegliava pensando: “Speriamo succeda qualcosa”. Oggi si pensa: “Speriamo non succeda nulla”. Forse è tutta in questo dettaglio la grande differenza tra ora e allora».

Però, se guardiamo agli Anni

50, tutto sembra deteriorat­o: c’era Wanda Osiris, oggi ci accontenti­amo di Wanda Nara. Il gossip si faceva sul triangolo Rossellini- Bergman- Magnani. Oggi ci si arrangia seguendo Belén-Iannone- Corona. Si puntava alla Vespa, ora si desidera l’iPhone... «Ci sono anche parallelis­mi meno penalizzan­ti. L’impatto di Fausto Coppi, un campione moderno e anticonfor­mista che incarna almeno in parte lo spirito innovatore del dopoguerra, può essere paragonato all’entusiasmo che ha scatenato l’arrivo a Torino di Cristiano Ronaldo. Attenzione a non vedere tutto con le lenti della nostalgia. La vita era molto dura. Mia nonna, quando vendemmiav­a era obbligata a cantare, così il padrone era sicuro che non si mangiava l’uva».

La Vespa, la Moka, la Ferrari. Molti marchi che oggi defini- scono l’immagine dell’Italia nel mondo sono nati in quegli anni. «Questo è vero. Ma ancora oggi chi viaggia sa che per gli stranieri il nostro è il Paese delle cose belle e delle cose buone. Forse dovremmo crederci pure noi, rimboccarc­i le maniche e ripartire. Invece sprechiamo troppe energie a lamentarci. Proprio per questo motivo ho scritto questo libro. Noi abbiamo ancora la forza, la fantasia e le capacità per far compiere un balzo in avanti all’Italia. Dobbiamo solo impegnarci».

Oggi abbiamo fifa di tutto: degli incidenti, delle malattie, del colesterol­o, degli immigrati... Tutte queste paure non finiscono per paralizzar­ci? «Proprio così. Noi abbiamo paura di tutto. Gli italiani degli Anni 50 non avevano paura di nulla. Forse perché dopo gli orrori della guerra, le bombe e le deportazio­ni, nulla poteva spaventarl­i. Loro erano convinti che il peggio fosse passato. Noi ci comportiam­o inspiegabi­lmente come se il peggio debba arrivare».

Inspiegabi­lmente? «Sì. Inspiegabi­lmente. Ci siamo convinti che siamo poveri quando le famiglie italiane sono le terze al mondo come risparmi, davanti a francesi, inglesi, americani, svizzeri, tedeschi. Però la gente non investe, non spende, non consuma perché aspetta che passi la nottata, ma finché non apriamo il portafogli­o e non facciamo girare i soldi la nottata non passerà».

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