Il segreto è non dare troppo peso a niente
DAVVERO GLI ACCIACCHI FANNO CAPIRE CHELA FELICITÀ NON DIPENDE DA FATTORIE STERNI? L’ ABBIAMO CHIESTO A UN CELEBRE GIORNALISTA E SCRITTORE, CHE DI ANNI NE HA GIÀ 90
Nella nostra epoca i vecchi diventano sempre più vecchi e inevitabilmente diventano anche oggetto di studi per capire di bello o di brutto cosa possa riservare la parte finale dell’esistenza. Il brutto, inteso come declino di ogni genere di facoltà, tutto sommato era già noto ma il giornalista delNew York Times John Leland, impegnato per oltre un anno in un’inchiesta sugli ultraottantenni, ha rivelato nel saggio Scegliere di essere felici – Cosa ho imparato dai superanziani (Solferino, pag. 272) anche un’imprevista riserva di cose belle. Il libro raccoglie le storie di sei anziani delle più differenti estrazioni sociali, di età compresa tra gli 87 e i 92 anni. Possono aver perso la vista, l’udito, la mobilità, la memoria, ma il dato che veramente li accomuna è la capacità di gustare la vita. Anzi, la coscienza che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo li aiuta a mantenere un approccio “felice”. Per i superanziani dunque la felicità non dipende più da fattori esterni, ma diventa una scelta determinata dal modo personale di affrontare la realtà che li circonda. Un insegnamento, conclude John Leland, che cambia la vita perché ci permette di scegliere con più consapevolezza la strada della felicità.
Ho letto il piacevolissimo libro che John Leland dedica alla Quarta Età, condividendo per un anno le difficoltà, le paure, le fissazioni di sei ultraottantenni, ma scoprendo anche i loro sorprendenti sprazzi di felicità. E siccome fra i meriti di una buona lettura c’è quello di suggerire inattese idee in chi legge, ecco la confessione di quel novantenne che sono io. Questo mio cuore così timido e così spudorato, così tenero e così bisbetico, così fragile e così forte. È una vita che me lo porto dietro (anche se è lui che si tira dietro me). Cominciò a darmi pensieri da bambino: se dicevo una bugia prendeva a battere all’impazzata, mia madre diventava triste: «Sei tutto rosso perché non sei sincero?». Se dicevo la verità mi veniva da pensare: non mi crede neppure stavolta. E il cuore allora si metteva a martellare. Diventavo rosso anche quando ero sincero. A sedici anni mi innamorai: «Senti il mio polso», le dicevo. Poi le sentivo il suo, liscio e calmo come una vecchia sveglia. «Non te ne frega niente», concludevo. «Sei cattivo», rispondeva lei, «io ho altri sintomi». Questi sintomi li scoprii una sera che stavamo sdraiati nell’erba. C’era un silenzio di stelle e di grilli lontani: a un tratto sentii un borbottio vicino, come la pentola quando bolle. «Senti?» diceva lei, «quando
sono emozionata mi brontola la pancia: sei più fortunato tu che ti batte il cuore». Mai sussurro di ruscellomi parve più delizioso di quei brontolii. Mi preoccupai quando, nel silenzio dei nostri idilli, non sentii brontolare più nulla. E infatti, poco dopo, la ragazza mi piantò. Gli ho fatto fare una strana vita al mio cuore: su e giù per i fusi orari, aerei di linea, jet militari, trabiccoli di tela, guerre nei deserti d’Africa o nelle strade d’Europa, l’ho abituato a distinguere le cannonate in partenza da quelle in arrivo, a farsi una ragione anche della follia. E lui che aveva imparato a restar calmo anche sotto i tiri d’artiglieria si agitava la sera, quando tardava la comunicazione con il Corriere a Milano e c’era il rischio di perdere la prima edizione.
«MI SONO DETTO: DEVO PIGLIARMELA DI MENO»
Unmattinomi svegliai con un cerchio alla testa e decisi di fare un controllo con il braccialetto della pressione. Istintivamente accelerai con l’apertura della valvola la discesa delle lancette per rubare qualcosa, come si fa con il termometro che si tira sempre via troppo presto. Però il bip si fermò sui 95 di minima, un valore più alto del mio standard. Telefonai a un amico, che adesso fa il pediatra perché ai bambini non si misura la pressione: infatti prima, quando andava a visitare un adulto e gli metteva il bracciale, c’era sempre una moglie che diceva: intanto che c’è, dottore, la provi anche a me. E, intanto che c’era, doveva provarla anche al nonno e alla domestica; era diventato un gommista. Telefono dunque a questo amico e gli chiedo se devo preoccuparmi. Lui mi risponde che l’ipertensione può essere di natura organica o neurove-
getativa: se ce l’ho alta al mattino appena sveglio, bello e tranquillo dopo il caffellatte, la cosa è più seria che se va su dopo una assemblea condominiale. Non avevo che da verificare di persona. Per qualche giorno sono diventato la cavia dime stesso, nell’arco di una giornata mi tiravo su e giù la manica sinistra anche dieci volte. La cosa poteva apparire comica, ma tutti i test sono un po’ comici. La sera, guardando il grafico che avevo fatto su un foglio di carta a quadretti, potevo ricostruire la mia giornata emotiva: l’articolo che mi era costato fatica, la sceneggiata automobilistica per una precedenza non accordata, un telegiornale particolarmente funereo, corrispondevano ai picchi più alti del mio saliscendi arterioso. La sera, davanti a un vecchio film in bianco e nero, il grafico tornava ad abbassarsi ai valori del mattino dopo il caffellatte. Devo pigliarmela di meno, mi sono detto, devo stare calmo. Per scaricare le folate di tensione che mi assalgono ho l’abitudine di agitare tutte le dita come faceva Benedetti Michelangeli prima di posarle sulla tastiera. Ho passato un giorno a far mulinare le dita, ma, dal grafico, mi sono accorto che tentare di restare calmi è molto peggio che essere agitati.
«E SE LA PRESSIONE ALTA SERVISSE DA RICATTO?»
Quello che servirebbe sarebbe crearsi occasioni di calma: cioè chiamare seraficamente un taxi quando si scopre che la propria auto è bloccata da un’altra in seconda fila, installare la segreteria telefonica automatica e poi cancellare il nastro registrato senza ascoltarlo eccetera. Non mi posso ancora concedere questo nirvana, allora ho pensato che avrei potuto ricattare il prossimo con la mia ipertensione emotiva. Per esempio ( parafrasando i ragazzi che, quando si conoscono, dicono: ciao, di che segno sei?) presentarmi: piacere, Goldoni, 90 di minima e 160 di massima. Oppure portarmi dietro l’apparecchietto in un incontro che si preannuncia movimentato e a un certo puntomisurarmi furiosamente la pressione, guardi qua disgraziato, me l’ha fatta schizzare a 200. Ho rimesso via la pompetta, ignorerò le alluvioni e le secche di quel sistema fluviale che mi scorre sottopelle, rinuncerò a spiare gli sconquassi barometrici delle mie ansie e delle mie indignazioni, non mi misurerò più nulla. Meglio un giorno da iperteso che cento da celenterato.