Pippo Baudo A tu per tu con il conduttore
DAI GIOVANI CHE« POCO HANNO E POCO DANNO» ALLO SMOKING ROSADICOSSIGA. DAI «TALENT SENZATALENTI» ALLO ZAR SOVIETICO CHE LO ACCUSA DI AVER RUBATO UN ASSEGNO: CHIACCHIERATA ROCK, TRA RICORDI E AMORI (« NEL CUORE HO ALIDA CHE L LI ») CON L’ UOMO CHIAMATO TV
Ai bivi della vita non c’è segnaletica, però Pippo Baudo ha il Gps incorporato. Basta leggere la sua autobiografia, scritta con Paolo Conti ( Una storia Italiana, Solferino, euro 18) che arriva in libreria in questi giorni, per accorgersene. Si parte da Catania, si gira per i teatri e i night di Palermo, si aggira il desiderio del papà avvocato di vederlo in toga, e poi si tira dritto fino a Roma: qui un lungo zigzag tra programmi di successo. Due soli errori ammessi, il più grande, la svolta perMediaset: «Berlusconi volle farmi direttore ar-
tistico delle sue reti, e venni accolto con ostilità. Corrado ad esempio fu poco generoso, in più Ricci mi massacrava su Striscia, prendendomi in giro quotidianamente. Alla fine, pur di andarmene, intestai a Berlusconi, come penale, un intero palazzo romano in cui avevo investito i miei risparmi». Ma lo sbaglio più bruciante resta l’incrocio mancato con Fiorello, che Baudo bocciò a un provino: «Per uno come me, che si vanta di essere stato un grande talent scout, una toppata clamorosa». L’ultima svolta, qualche giorno fa, ha il sapore della sfida: «Presenterò Sanremo Giovani con Fabio Rovazzi: non lo conoscevo, mami sono accorto presto che è un ragazzo intelligente, colto. Capace di destreggiarsi bene come autore e regista delle sue produzioni. Io alto, lui mingherlino, lui giovane iomeno... solo a vederci insie- me sul palco sarà divertente, abbiamo i canoni delle coppie comiche. Cosa faremo sul palco ancora non lo so, ma mi divertirò». Forse un talent scout come lei dovrebbe fare un talent show. «Infatti il talent show l’ho inventato nel 1965, si chiamava Settevoci. Poi me ne hanno offerti tanti». Perché li ha rifiutati? «Per fare un buon talent show bisognerebbe lanciare talenti. Ma non ce ne sono più. Oggi il termine talento viene attribuito con troppa facilità».
Quindi rifiuterebbe il ruolo di giudice a X Factor? «Credo che lo farei, sarebbe divertente. Ma il problema resta: ci sono mille talent e poche vere promesse. Così ci si accontenta e quello che si trova lo si lancia in pompa magna: durano solo qualche mese e poi spariscono. Questi ragazzi poco hanno e poco danno. Vengono lanciati, spolpati e bruciati. Sono giovanissimi, non hanno preparazione culturale, non studiano, non hanno basi su cui poggiare i piedi. Il loro destino è essere meteore».
Pippo dice queste parole senza cattiveria, la cifra è quella della malinconia, della nostalgia per un mondo dello spettacolo che oggi è pastorizzato e asettico come il latte del supermercato, e che fino a pochi anni fa invece manteneva una saggia quota di follia. «Mi sono trovato in situazioni incredibili. Nel 2003, insieme a FabrizioDel Noce, che era direttore di rete, andai a trovare Vittorio Sgarbi nella sua casa romana. Voleva condurre il dopofestival. Il cast lo aveva già pronto: sul palco ci sarebbero stati lui e Francesco Cossiga, che avrebbe indossato uno smoking rosa. Sgarbi ci presentò anche la valletta, anzi un vallettone: un trans alto duemetri, con un vestito rosso attillatissimo. Ovviamente non se ne fece nulla, ma Cossiga ci rimase malissimo, e mi diede praticamente del mafioso. Mi offesi e lo denunciai così quando venne rinviato a giudizio mi chiamòemi disse: “Pippo, mi vuoi rovinare? Andiamo a cena e facciamo pace”. Finì che ritirai la denuncia, pa- gai la cena e alla fine pagai anche il mio avvocato: una débacle completa».
Questo il momento più divertente... e quello più imbarazzante? «Nel 1990 premiai a Fiuggi Mikhail Gorbaciov: ci fu uno splendido spettacolo e poi feci consegnare da una valletta all’ex leader sovietico una busta che conteneva un assegno di 500 milioni di lire per la fondazione intitolata all’amata moglie Raissa. La mattina dopo alle sei mi chiamaGiulioAndreotti, irritato: “ScusaPippo, tu per caso hai visto l’assegno per Gorbaciov? Sai la busta era vuota...”. Io però la busta non l’avevo aperta, e quindi non avevo visto cosa contenesse. Passano un paio di settimane: mentre sono a una cena di gala di un oleificio ligure, si apre la porta e entra l’ospite d’onore, Mikhail Gorbaciov. Comemi vede urla: “Tu ladro, tu ladro”, mentre con la mano faceva il gesto di chi ruba. Venni salvato dall’interprete che lo convinse che ero innocente, ma mi sarei voluto sotterrare dalla vergogna. Quell’assegno non homai saputo che fine avesse fatto».
In 300 pagine di libro non parla mai della sua vita sentimentale. Katia Ricciarelli non è citata nemmeno una volta. «I vecchi amori si concludono spesso malamente, conservano ancora il sapore amaro nei ricordi e il bello che c’è stato viene dimenticato. Ho pensato che forse non sarei stato equo».
Però qualche parola tenera l’ha dedicata ad Alida Chelli. «È stata una grande passione, durata sette anni, l’unica con cui ho mantenuto rapporti affettuosi anche dopo che ci siamo lasciati. Suo figlio Simone è cresciuto con mia figlia Tiziana. Era una donna bellissima ma insicura, divertente, sensibile».
È lei la donna che le è rimasta veramente nel cuore? «Sì... Sì».