I grandi gialli
La notte violenta che rovinò Oscar Pistorius
Pretoria, SudAfrica: città col tasso di criminalità tra i più elevati del continente nero. Qui i ricchi vivono barricati per proteggersi da bande di rapinatori che causano una cospicua percentuale degli oltre 20 mila omicidi l’anno che insanguinano il Paese: cifre da bollettino di guerra, che fanno paura. E la paura, si sa, induce a fare cose che, a mente fredda, non si farebbero mai.
IL TIMORE DI UNA RAPINA E QUEL CHE NON TORNA
Qualcosa del genere accadde (almeno così raccontò lui) a casa di Oscar Pistorius, nell’esclusivo comprensorio Silver wood country estate, all’alba di San Valentino, il 14 febbraio 2013, quando uccise la sua fidanzata top model Reeva Steenkamp, scambiandola per un ladro. Fu un delitto atroce e misterioso che, a sei anni di distanza non ha svelato ancora tutte le sue ombre. Ecco perché vale la pena di ripercorrere le tappe di questo incredibile giallo. «Alle 3 di notte», raccontò Pistorius alla polizia, «mi sono svegliato di so-
prasalto, completamente sudato ( in Sudafrica le stagioni sono invertite e a febraio c’è il picco di un’estate calda e umida, ndr). Anche Reeva si svegliò e mi chiese come mai non riuscissi a dormire. Le dissi che avevo caldo e che perciò sarei uscito sul balcone a prendere il ventilatore. Lo stavo sistemando, quando sentii un rumore che mi raggelò il sangue: qualcuno aveva aperto la finestra del bagno confinante con la camera da letto. Ero sicuro che in casa ci fosse un intruso. Allora, nel buio fitto, presi la pistola che tenevo sotto il letto e mi diressi verso il bagno. “Esci subito da casa mia!”, gridai con tutto il fiato che avevo in gola. Quindi urlai
a Reeva di chiamare la polizia. A questo punto sentii scorrere l’acqua nel water ed ebbi la conferma che nel bagno c’era effettivamente un intruso. Allora sparai quattro colpi di pistola attraverso la porta chiusa. Poi tornai in camera. Tastando con la mano mi accorsi che Reeva non era nel letto. La cercai dietro le tende, in terrazza. Ma lei non c’era. Un brivido gelato mi corse lungo la schiena: solo in quel momento mi resi conto che la persona nel bagno forse era lei. Disperato, presi unamazza da cricket e cercai di sfondare la porta. Dopo alcuni colpi, un pannello cedette e riuscii a girare la chiave. Reeva era a terra, piena di sangue. Telefonai alla guardiania del comprensorio implorandoli di correre perché a casa mia era successa una cosa tremenda, quindi presi Reeva in braccio e la portai dabbasso». Fin
da subito, la Procura di Pretoria non credette alla versione dei fatti raccontata da Oscar. Sembrava incredibile che un uomo, sano di mente, udendo, di notte, un rumore proveniente dal bagno, si fosse fiondato a sparare contro la porta chiusa senza prima essersi debitamente accertato che al di là non vi fosse la propria fidanzata e convivente. E se per giunta Pistorius - come da lui riferito - aveva urlato a squarciagola alcune frasi prima di premere il grilletto, perché Reeva Steenkamp se ne sarebbe stata muta, scaricando per giunta l’acqua delwater come se nulla fosse? Quello stesso 14 febbraio, Oscar Pistorius fu arrestato e incriminato per omicidio volontario. Il 3 marzo 2014, presso l’Alta corte di giustizia del Sud Africa, cominciò il processo. Il primo a salire sul banco dei testimoni, fu Barry Steenkamp, padre di Reeva, che accusòOscar Pistorius di aver assassinato sua figlia dopo una lite. Il procuratore Gerrie Neilmostrò gli sms e le mail che durante la loro storia si erano scambiati Reeva e Oscar: nel 90 per cento dei casi si trattava di normali messaggini d’amore; ma in un numero non trascurabile, emergeva la preoccupazione e l’irritazione di Reeva verso un atteggiamento geloso e possessivo di Oscar. «Avolte sei crudele», gli scriveva solo 3 settimane prima dell’omicidio, «e mi fai veramente paura».
UNA LUNGA PERIZIA PSICHIATRICA
Si trattava di semplici schermaglie tra una coppia di innamorati (come sostenne la difesa), o era la prova di una relazione pericolosa? Per scoprirlo, il giudice Thokozile Masipa dispose una perizia psichiatrica. Per unmese, la mente di Oscar Pistorius fu rivoltata come un calzino da un team di psichiatri e psicoterapeuti. Non emerse nulla riconducibile a una personalità violenta, anche latente. «Pistorius ha un’ossessione paranoide per la sicurezza personale», scrissero i periti. «Teme di essere aggredito in unmomento di massima vulnerabilità, quando cioè non indossa le protesi. Poiché è consapevole che in queste condizioni non potrebbe scappare, in caso di pericolo è determinato a colpire per primo ». Un punto per la difesa. La seconda testimone convocata dall’accusa fu la signora Estelle Van Der Merwe, inquilina di una villa a una settantina di metri da casa di Pistorius. La signora raccontò che alle 2 di quella notte fu svegliata dalle urla di una furiosa lite che durò per circa un’ora. La difesa di Pistorius produsse per contro la testimonianza di Pieter Baba, una guardia giurata che, tra le 2 e le 3, passò e ripassò davanti alla villa. «Io non ho sentito niente», disse. «Tutto era tranquillo».
ALL’INIZIO, SE LA CAVÒ CON CINQUE ANNI
Il 12 settembre, dopo una rassegna di testimonianze e perizie, nessuna conclusiva, il giudice Masipa si presentò in aula col verdetto. «Oscar Pistorius temeva probabilmente di essere in pericolo, ma reagì in modo inaccettabile», spiegò. Per questo venne condannato a 5 anni di galera per omicidio colposo, una pena lieve che scatenò una tempesta di polemiche. La Pubblica accusa dichiarò subito che avrebbe ricorso in appello. Nel novembre del 2015 si svolse il processo di secondo grado. Il giudice Masipa accolse stavolta i rilievi della Procura e cambiò il capo di imputazione in omicidio volontario: Oscar Pistorius fu condannato a 6 anni di carcere. La tempesta di polemiche si scatenò di nuovo, più furiosa di prima. «Per il nostro codice penale, la pena minima per omicidio volontario è 15 anni di reclusione», dichiarò il procuratore
GerrieNeil. «Ricorreremo anche contro questo verdetto». Nel 2016, fu dato alle stampe il libro Oscar vs. the truth ( Oscar contro la verità), di Thomas e Calvin Mollett, due investigatori dilettanti che pubblicarono molte foto scattate dalla polizia scientifica sulla scena del delitto. Alcune di queste, inchioderebbero Pistorius alle sue responsabilità. La primamostra una placca d’acciaio, situata in bagno, sul bordo della vasca Jacuzzi, pesantemente ammaccata. La seconda evidenzia sul margine della mazza da cricket (utilizzata da Pistorius per sfondare la porta della toilette) tracce di vernice argentata. La terza mostra, sulla porta della camera da letto, un foro del diametro di 4,5 millimetri, perfettamente compatibile col calibro di una carabina ad aria compressa sequestrata a casa di Oscar. Una ferita delle stesse identiche dimensioni e forma, fu poi repertata sulla parte posteriore del braccio sinistro di Reeva Steenkamp. Il cadavere della ragazza mostrava inoltre due lividi poco sotto le scapole, abrasioni sul fondoschiena e sul capezzolo sinistro non compatibili con la caduta del corpo dopo essere stato colpito coi proiettili. Infine, la lunga canottiera nera che Reeva indossava, non presentava fori nei punti corrispondenti con le ferite di arma da fuoco, prova che quando la ragazza fu uccisa era nuda e poi fu rivestita. Ma questo Oscar non l’ha mai raccontato.
LE PRESUNTE PROVE DI UNA LITE VIOLENTA
Secondo i Mollet, insomma, i reperti sulla scena del delitto e sul cadavere dimostravano che la notte del 14 febbraio ci fu effettivamente un lite fu- ribonda tra Pistorius e la Steenkamp. A un certo punto, Oscar denudò e picchiò la ragazza e mentre questa tentava di fuggire la colpì due volte sulla schiena con la mazza da cricket e quindi le sparò con la carabina ad aria compressa. Reeva si chiuse nella toilette e Pistorius colpì violentemente con la mazza la placca di metallo, poi sparò quattro colpi per ucciderla. Infine rivestì il cadavere e preparò la messinscena dell’intruso. Nel novembre del 2017 si consumò il terzo e ultimo atto del processo a Oscar Pistorius. La Suprema corte d’appello del Sud Africa condannò infine l’assassino a 13 anni e 6 mesi di reclusione corrispondenti ai 15 anni della pena minima per omicidio meno il periodo già trascorso in carcere. Troppo o troppo poco?