Montalbano/1
Il regista Alberto Sironi lo difende dagli attacchi politici
Montalbano festeggia i suoi primi 20 anni in tv con due nuovi episodi ( l’11 e il 18 febbraio su Rai 1). E soccorre i migranti. Nelle scene iniziali de L’altro capo del filo, tutto il commissariato di Vigata è alle prese col dramma degli sbarchi clandestini. Montalbano stesso si troverà a raccogliere il corpo di un poveretto tra le onde e lo choc sarà tale da spingerlo a entrare in una chiesa per la prima volta in due decenni. La vicenda è breve e ininfluente ai fini della trama gialla, ma qualcuno ha pensato che potesse nascondere una velata polemica con l’attuale politica di governo. Alberto Sironi, il regista della serie fin dai suoi esordi, spiega, racconta e dice la sua. Il tema migranti ha origine dal romanzo di Camilleri? «Caspita! Il racconto è molto più lungo, occupa quasi lametà delle pagine. Ma il libro fu pubblicato tre anni fa, non c’era questo governo. L’intento di Camilleri, e il nostro, era quello di introdurre dei personaggi come il medico arabo o il musicista che fossero intellettualmente importanti. Noi pensiamo che gli arabi siano tutti dei poveri disgraziati, o peggio dei terroristi, ma non è così». Come vi siete preparati per girare quelle scene? «Ci siamo documentati, volevamo la verità. Abbiamo parlato con tutti quelli che si occupano dell’accoglienza, siamo saliti sulla Diciotti. Per fortuna quando eravamo a bordo non c’è stato alcun allarme. Ma poi abbiamo seguito un arrivo notturno assieme alla Capitaneria di porto. Ci siamo rivolti alla Polizia, agli agenti di Frontex, alla Protezione civile, alle organizzazioni umanitarie. E poi abbiamo ricostruito le storie, anche con l’aiuto di comparse prese nei centri di accoglienza». Lei come la pensa sui profughi? È solidale come Montalbano appare da sempre? E come Zingaretti ha detto in un’intervista:
«Credo che il soccorso sia un dovere»? «Siamo un Paese cattolico che ha sempre accolto chi veniva a chiedere aiuto. Anche perché, quando i migranti eravamo noi, di aiuti ne abbiamo chiesti tanti». Porti aperti o porti chiusi? «Fosse per me li terrei aperti, cercando di capire chi arriva in casa. Sono persone che cercano la salvezza e tanti di loro fanno mestieri che gli italiani ormai disdegnano. Ne abbiamo bisogno». Qual è la sua opinione su Salvini? «Io sono lombardo, lui pure. Ma la pensiamo diversamente». Voltiamo pagina e parliamo di questi suoi vent’anni con Montalbano. Vero che Zingaretti l’ha voluto lei? «Camilleri aveva inventato un commissario in età, con le rughe, capelli e baffi. Io lo volevo più giovane, anche perché mi ero fatto un giro nei commissariati di Sicilia ed erano tutti così. “Ma perché hai scelto proprio uno che al mio Montalbano non ci somiglia?”, mi disse Camilleri, che Zingaretti lo conosceva. “Perché è proprio bravo”, risposi. Lasciò che facessi come meglio credevo».
In ballo per la parte c’erano anche Massimo Popolizio e Ennio Fantastichini. «Fantastichini non potè venire a fare il provino. Popolizio era molto interessante, ma Zingaretti di più». Lei e Zingaretti: vi descrivono come Sandra e Raimondo. Vi siete mai scontrati? «Eh sì, ma è normale. Io tendo a dare meno movimento al personaggio, invece Luca ha bisogno di fisicità. Negli ultimi film è più facile, c’è meno azione. Abbiamo fatto di Zingaretti un vero attore western nella camminata, nelle movenze». È vero che una volta l’ha mandata a quel paese? «E mica una! Ci siamo mandati a quel paese parecchie volte!». Come finisce poi? Con un abbraccio? «No. Finisce che si torna a lavorare». A Montalbano piace mangiare. Lei la pensa come Fellini che voleva sempre un buon ristorante vicino al set? «No, io no. Anche perché non mangio quando giro, lo faccio il fine settimana. Però un indirizzo dove si gusta un ottimo pesce glielo do: il ristorante di Vincenzo Gulino a Ragusa Ibla». Nei vent’anni di Montalbano sono comparse tante bellezze: Belén, Afef, la Merz, Margareth Madé. Chi è la più attrice?
«C’è stata anche Valenttina Lodovini, straordinnaria! Belén è una seria e ha voglia d’imparare. Potrebbe diventare una grande attrice, ha talento. Ma probabilmente guadagna già tanti soldi che non ha bisogno di perdere tempo sul set. Con lei la cosa più ostica fu insegnarle a camminare normalmente, non da indossatrice». Vero che avete dovuto sottrarla alla curiosità della gente? «Uuhh. Una volta l’abbiamo fatta arrivare sul set nascosta in un’ambulanza. Non c’era altro modo». E Afef? «La più bella che abbia mai visto. Ma a fine riprese mi disse: “Questo è un lavoro troppo faticoso perme”». Una curiosità. Perché tre attrici per impersonare Livia, la fidanzata del commissario? «La prima, Katharina Böhm, nipote del famoso direttore d’orchestra austriaco Karl Böhm, rispecchiava un amore con Montalbano più erotico. L’attrice non si rese più disponibile perché stava avendo successo in Germania e allora per un anno provammo con la svedese Lina Perned. Brava. Ma poi la Rai ci chiese di scegliere un’attrice italiana. Sonia Bergamasco è seria, preparata, un’intellettuale vera. Come più intellettuale è diventato il rapporto tra Livia e Montalbano». Lei quale Livia preferisce? «La prima, perché eramolto più passionale. Per un regista è più facile raccontare quel tipo di rapporti che non altri». C’è stato un periodo in cui Zingaretti aveva pensato di abbandonare Montalbano. Lei si è allarmato? «Sì, certo. Ma è stato un momento di debolezza. Temeva che un personaggio così popolare lo avrebbe impoverito, noi abbiamo cercato di tranquillizzarlo. Senza Luca, il Montalbano televisivo non esisterebbe». E lei ha mai pensato di fuggire dal commissario più popolare di sempre? « No. Forse se ci fosse stato qualche problema con Camilleri, ci avrei riflettuto. Ma già dal primo film lui mi disse: “Guarda, mi sono piaciute anche le comparse”. Ora penso già ai tre prossimi episodi, cominciamo a girare a maggio».