Bianca Berlinguer
«Solo Mauro Corona può chiamarmi Bianchina»
Si è trasformata in un genere televisivo a sé, complici il tono di voce, la naturalezza con cui rivolge le domande agli ospiti e una passione per la leggerezza che ha stupito non poco chi, ideologico a dismisura, l’avrebbe confinata nel ruolo di giornalista impegnata. Bianca Berlinguer si è trasformata in diretta, in prima serata, davanti al pubblico: è diventata tosta, combattiva, mai retorica, ride e sorride, quando la trama narrativa lo consente. E con la sua Cartabianca, il martedì sera su Rai 3, conserva una fetta di affezionati che la segue con la stessa militanza con cui le “groupie” di Franca Leosini venerano Storie Maledette. La fama che la precede la tradisce in parte: si narra che nei sette anni passati alla guida del Tg3 non abbia lasciato fiato ai redattori, esigendo fermezza, rigore e passione anche se - aggiungiamo noi - su cotanta disciplina “Bianchina” (così la apostrofa il suo compagno di merende televisive, lo scrittore Mauro Corona) ha impostato pure le sue relazioni, amicali come professionali. Se ti stima, regala un sorriso; in caso contrario, te lo puoi scordare. Se quello che dici le interessa, ascolta con curiosità, altrimenti nessuna ipocrisia: interrompe, gira i tacchi e si licenzia dalla (tua) noia. Se un concetto non le è chiaro, non ci gira intorno: «Non ho capito e secondo me non ha compreso nemmeno chi ci guarda da casa». Chiaro, no? Non vuole risultare simpatica a tutti costi e questo la rende empatica perfino ai detrattori. Temuta a destra e sinistra, amata e odiata da gialli e verdi, rispettata da ex e nuovi potenti, Berlinguer non ha mai tradito il senso profondo di quel cognome evocativo: a chiunque lo pronunci, vengono in mente l’immagine e la voce di papà Enrico, uomo gentile e perbene della politica che fu. Chiunque, oggi, abbia a che fare con la figlia può ritrovare la stessa rettitudine. Posso chiamarla “Bianchina”? ( ride) «Preferirei di no». Corona sì e Oggi no? «Non è un nomignolo che apprezzo, anche se credo di aver fatto male a dirlo in diretta. Corona si è sentito sfidato e ha continuato a chiamarmi così e ormai so che non smetterà più». Sia sincera: quel nomignolo appaga la sua vanità... «Si sbaglia: mi infastidisce». Perché? «“Bianchina” ricorda il nome di una mucca. E poi, il mio nome, Bianca, mi piace molto». Come nasce l’idea di far diventareMauro Corona editorialista di punta del programma?
«Per puro caso. Andavo in onda nella versione quotidiana di Cartabianca e lo invitai col geologo Mario Tozzi per parlare di tematiche ambientali. Si dimostrò brillante e efficace. Lo chiamai di nuovo e pensai: “È in grado di reggere pure la prima serata”. Corona è un talento, sono contenta di avergli dato spazio». Sa che quei siparietti l’hanno resa più simpatica? Prima era molto più ingessata... «Non ci homai pensato. Tra noi nulla è organizzato preventivamente: tutto è naturale, spontaneo e improvvisato». Dicono che sul lavoro sia una rompiscatole di primo livello. Conferma? «Sonomolto puntigliosa. Mi impegno moltissimo e chiedo alla redazione di fare altrettanto. Penso che sia un grande privilegio e una grande responsabilità fare questo mestiere: quello per il giornalismo è un amore cresciuto negli anni. E poi, lavorare in squadra mi viene bene: so assumermi le responsabilità che il ruolo impone e il gruppo è eccellente, pieno di entusiasmo». Ha diretto il per sette anni, record per una donna. Più brava o più fortunata? «Decidano gli altri. Io so solo che in tutte le fasi della vita servono competenza e fortuna».
Tg3
Per fare carriera in Rai ci vuole più pazienza o più coraggio? «Vale la risposta di prima. In Rai, forse, la dose di pazienza deve essere maggiore rispetto ad altre aziende». Le rivolgo la stessa domanda che ho fatto a Lilli Gruber: si sente una donna di potere? «Se potere è consentire a qualcuno di avere spazio pubblico e dunque possibilità di ascolti e di consenso,
«DICIAMO LA VERITÀ: VIVIAMO IN UNA SOCIETÀ INCUI SI PREFERISCE RICEVERE ORDINI DA UN UOMO