EDITORIALE
RIPROPORRE IN TV (AGGIORNATI) GRANDI PROGRAMMI DEL PASSATO NON FUNZIONA. PERCHÉ...
Ecosì, giovedì scorso si è concluso mestamente Eurogames, il tentativo di Canale 5 di rinverdire i fasti di Giochi senza frontiere (programma andato in onda per trent’anni sulla Rai fino alla fine degli Anni 90). Dico mestamente perché la trasmissione condotta da Ilary Blasi e Alvin è partita sei settimane fa con ascolti tutto sommato discreti ed è finita con il pubblico dimezzato, a quota 1,5 milioni di telespettatori e 8 per cento di share. Poco, pochissimo per la rete ammiraglia di Mediaset. Poco, pochissimo per una macchina produttiva che ha coinvolto sei nazioni europee, 300 concorrenti e un gruppo di lavoro di 350 persone.
Del resto, la stessa Ilary l’aveva detto proprio a Oggi, sul n. 42: «Va bene, va male? In ogni caso ce ne faremo una ragione. Non è che muore qualcuno, sono altre le tragedie!». Giusto. E anche se permolti personaggi televisivi l’Auditel è una specie di giudizio divino, le fa onore riconoscere che si tratta pur sempre di intrattenimento. Peccato solo per un dettaglio. In un’Europa ( politica ed economica) frammentata e conflittuale, preda di spinte nazionaliste e incapace di solidarietà, poteva essere un bel messaggio di unità quello trasmesso collettivamente da questi ragazzi russi, polacchi, tedeschi, greci, spagnoli e italiani, tra piste saponate e lanci di pomodori, goffi travestimenti e giochi da strapaese. Non era laRussia arcigna di Putin che gareggiava, né l’arrogante Germania o la Polonia sovranista, e neppure l’Italia eternamente divisa in fazioni. Erano i giovani europei, con gli ultimi arrivati (i polacchi) che gioivano insieme ai trionfatori (i tedeschi, avevate dubbi?).
Peccato anche perché, per l’ennesima volta, in tv non ha funzionato l’effetto nostalgia. Era già successo con Portobello, succederà ancora ogni volta che qualcuno vorrà riproporre, più o meno paro paro, un grande successo del passato. Guardavo il giudice Jury Chechi, spaesato e fuori contesto, e rimpiangevo lamitica coppia della versione originale: gli inflessibili arbitri svizzeri Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi. Guardavo il Fil rouge, la prova che le squadre affrontano a turno, e mi chiedevo perché all’epoca mi appassionasse tanto. Proprio come Ilary, ero un fan di Giochi senza frontiere: comemai adesso il suo clone 2019mi lasciava indifferente, esattamente come quel milione e mezzo di spettatori persi tra la prima e la sesta puntata?
Be’, la risposta è semplice: colpa dellamemoria. Diceva Leo Longanesi: «I ricordi sono come i sogni: si interpretano». I momenti belli del passato vengono conservati e trasfigurati, quelli brutti rimossi o annacquati. Certo, c’è chi si porta sulle spalle tutto il peso della memoria e chi invece opera inconsciamente una selezione. Ma in ogni caso, per citare Marcel Proust, «il ricordo delle cose passate non è necessariamente il ricordo di come siano state veramente». E questo vale per le svolte importanti della vita come per le minuzie quotidiane, un grande amore o un film oppure una canzone. Ecco perché, tornando alla tv, certi programmi di decenni fa conservano nella nostra mente un’aura magica, che è impossibile riproporre senza incorrere in cocenti delusioni.
Rammento per esempio quanto mi aveva spaventato il Belfagor televisivo. D’accordo, ero un bambino, ma il fantasma del Louvre aveva popolato i miei incubi. Mi è capitato di recente di rivederne qualche scena su YouTube e mi sono detto: ma come era possibile che quel pupazzone mascherato facesse tanta paura? Ho riascoltato da poco la prima incisione di Jesus Christ Superstar, anno 1970: me la ricordavo più bella, più piena, più coinvolgente. Certi film che mi avevano fatto ridere o piangere fino alle lacrime (uno per tutti: Fratello sole, sorella luna di Franco Zeffirelli) rivisti oggi mi sembrano più sciapi di una pietanza senza sale. Quindi, cari dirigenti televisivi, non propinateci più cloni “tali e quali” di grandi programmi del passato: il flop sarebbe garantito. Lasciateci il ricordo di com’erano (servizio imperdibile a pag. 86). E di come eravamo.