Chiara Bi asi
ÈLACIFRAPERCUI, PROVOCATA DALLE« IENE », LA MODELLA HA DETTO CHE NON SI SAREBBE «NEANCHE ALZATA DAL LETTO». È STATA CRITICATA, MA CONSIDERATO IL TIPO DI LAVORO CHEF A, AVEVA DAVVERO TORTO? ECCO QUANTO GUADAGNANO I SUOI“COLLEGHI” FAMOSI
Aveva davvero torto a dire «no» a 80mila euro? Ecco le cifre degli influencer
Io per 80 mila euro non mi alzo neanche dal letto». È bastato estrapolare questa frase diChiara Biasi da uno scherzo che lehanno fatto Le Iene perché si riproponesse, dentro e fuori dal Web, l’indignazione facile verso gli influencer, seguita dalla domanda: ma quanto guadagnano ‘sti influencer? Reazioni prevedibili ma mal poste. Vediamo perché.
DA JENNER A FERRAGNI
Ogni anno, il programma Hopper HQ (chemonitora Instagram), stila la classifica dei personaggi che guadagnano di più con un singolo post “pubblicitario”. In quella del 2019, la regina è Kylie Jenner, che porterebbe a casa 1 milione e 266 mila dollari con una sola foto postata, seguita da Ariana Grande (996mila dollari) e Cristiano Ronaldo, che coi suoi 975mila dollari è il primo uomo in classifica. In Italia, i più pagati sono Chiara Ferragni (53 mila euro per un post; 43esima nella classifica mondiale; 25 mila euro la “tariffa” del marito Fedez) e Gianluca Vacchi (40 mila). Si tratta però di dati indicativi, perché basta chiedere a chi lavora nell’influencer marketing (si chiama così) per scoprire che calcolare il valore di un singolo post è impossibile. «È come chiedere quanto guadagna Lady Gaga per una canzone», dice Francesca Papa,
communication manager dell’agenzia specializzata Show ReelMedia Group. Le aziende scelgono gli influencer con cui collaborare in base a come gestiscono il proprio profilo. «Per questo è più corretto chiamarli content creators, creatori di contenuti. Sono di due tipi: quelli alla Chiara Biasi o Tommaso Zorzi, che comunicano la propria vita, anche attraverso i prodotti chemostrano; quelli alla Sofia Viscardi, che concepiscono il proprio profilo come un canale editoriale, in cui “ospitano” anche altre persone», dice Papa. Da sfatare il mito che i guadagni dipendano dai follower: «Contano di più le interazioni che si hanno con loro».
COPIARLI? SI PUÒ(FORSE)
Traducendo: se ne hai tanti ma non te li fili e li bombardi di pubblicità, sei poco interessante per gli investitori; averne pochi che però ti riconoscono autorevolezza e credibilità su un argomento vale di più. «Se si è molto specializzati, possono bastare 30- 40 mila follower per avere collaborazioni ingrado di fruttare uno stipendiomensile pari a quello di un insegnante. Ma guai a pensare che sia un passatempo: tra interazioni nei commenti, nei messaggi privati, foto, video, post-produzione e programmazione, è un vero lavoro», dice Papa.
Ecco. E se invece di indignarci per la Biasi provassimo a capire se il suo lavoro fa anche per noi? Quello dell’influencer marketing è un mercato che vale 240 milioni solo in Italia (l’anno scorso erano 180; fonte: Publicis), nelle università ci sono corsi ad hoc e le aziende sempre più spesso si affidano a “micro-influencer” piuttosto che ai big. «A essere più interessanti non sono i Vip ma i creator con una profon
da conoscenza di ciò di cui parlano e che hanno una interazione competente coi follower», dice Gianluca Perrelli, docente di influencer marketing allo Ied di Milano e country director di Buzzoole, piattaforma che “aggrega” più di 280 mila influencer e monitora oltre 100 milioni di post l’anno. «Gli influencer funzionano perché la pubblicità tradizionale è in crisi e la gente si affida ai consigli degli altri (si chiama “influenza tra pari”); perché arrivano ai millennials e trasmettono il messaggio a milioni di persone a costi irrisori. Con l’agenzia Koniqa, noi di Buzzoole abbiamo intervistato circa 280 aziende italiane e internazionali e abbiamo scoperto che il primo criterio con cui scelgono i creators con cui collaborare è la creatività, al secondo posto c’è la competenza e solo al quinto il numero di follower. Se un’azienda vuole pubblicizzare un’auto elettrica, sempre più spesso non investe su un top-influencer “generico” ma preferisce collaborare con tanti influencer “minori” specializzati, perché hanno follower più mirati».
Quindi se siete molto competenti su qualcosa, potete diventare appetibili per chi con quel qualcosa lavora. Guardate Beatrice Rossi: ha iniziato cucinando nella sua cucina e oggi con Fatto in casa da Benedetta è una star diWeb e librerie. «Se si decide di tentare, però, bisogna farlo seriamente. Aessere premiata è la professionalità, i contenuti devono essere curati, non basta una foto, serve un “racconto”, coerente: non si può pubblicizzare una cosa se non c’entra nulla con quello che si è. E serve trasparenza: quello che è frutto di un accordo commerciale va contrassegnato (#ad, #adv); chi ci segue non deve sentirsi raggirato: mai comprare follower, interazioni o commenti», dicePerrelli. La ricerca di Buzzoole dice che non più del 30% dei post di un influencer è sponsorizzato, a dimostrazione del fatto che un account efficace si costruisce anche dicendo dei no. Proprio come Chiara Biasi.