« Picchiavo miamoglie: chiedere aiuto mi ha salvato »
«A OGNI SCHIAFFO DICEVO A ME STESSO :“BASTA, DEVO CAMBIARE ”», RACCONTA LORENZO, LAUREA E PROFESSIONE DI PRESTIGIO .« SONO FIGLI ODI UN PADRE VIOLENTO MA NON È UN’ ATTENUANTE. CHI SI CREA ALIBI NON MIGLIO RAMAI»
L’ultimo schiaffo o calcio che ho dato mia moglie mi sono detto “basta, basta, questo orrore deve finire”. Mi ero ripromesso di cambiare tante voltenegli anni e, invece, succedeva di nuovo. Poi un giorno, per caso, un amicomi ha raccontato il percorso che stava facendo per smettere di avere comportamenti violenti. Gli ho chiesto il numero di telefono del centro e ho chiamato.
18 MESI DI CAMMINO
«Da allorami sonomesso in cammino e nonmi sono più fermato: è passato un anno e mezzo e la mia vita, assieme a quella dellamia famiglia, è cambiata. In meglio», racconta tutto d’un fiato Lorenzo M., una laurea con lode e un lavoro da libero professionista che, come spesso accade, lo colloca tra gli uomini insospettabili. La sua voce pacata, il suo aspetto curato, le parole scelte con sapienza: niente farebbe pensare che questo signore colto, educato, impegnato nel sociale, è stato una persona violenta, un uomo che ha maltrattato sua moglie. Eppure.
«Sì, sono un insospettabile e se sono qui oggi è perché vorrei restituire l’aiuto che ho ricevuto e per testimoniare che si può cambiare, che il comportamento violento è sempre una scelta, non ci sono giustificazioni», dice Lorenzo. Siamo in una stanza del centro Liberiamoci dalla Violenza dell’Azienda Usl di Modena, la prima struttura pubblica in Italia che si dedica all’aiuto di uomini autori dimaltrattamenti e la prima ad aver siglato con la questura della città il protocollo d’intesa Achille che prevede una sinergia con leForze di polizia: gliuomini ammoniti dal questore per violenze in famiglia ricevono l’invito a frequentare spontaneamente e gratuitamente il Centro LdV e tra le due istituzioni si instaura un rapporto di scambio delle informazioni per monitorare il percorso della persona in questione.
«Tra queste mura ho imparato a chiamare la violenza col suo nome e anche che non esistono scuse ai soprusi: io sono figlio di un padre violento - anche lui un insospettabile con laurea e ottima posizione professionale - che picchiava me e mia madre. Quell’aggressività era il linguaggio che ho imparato in famiglia e che ha influito
sul mio modo di agire ma ho capito che questo non giustifica come mi sono comportato perché davanti a mia moglie c’ero io, nonmio padre. La violenza faceva parte della mia cultura familiarema se ti autoassolvi, non esci da questa spirale. E guai a pensare “è lei chemi provoca”, “è lei che scatena la mia parte peggiore” perché è una bugia e chiunque si guardi dentro con sincerità, lo sa. Qualsiasi cosa dica o faccia tua moglie, tu puoi scegliere come reagire. E se ti conosci, sai che c’è una escalation delle emozioni, sai riconoscere la rabbia che sale e puoi decidere di fermarti in tempo. Il raptus nonesiste, è un’altramenzogna che racconta chi vuole assolversi per non mettersi in discussione. Io ho capito che reagivo con violenza a discussioni banali perché era un modo rapido per risolvere un problema: in un attimo sfogavo la rabbia accumulata sul lavoro o con i miei parenti e mi calmavo», spiega quest’uomo di 55 anni che ha due figli e che ha scelto di condividere questo percorso con la moglie e il più grande di loro.
«Io sono arrivato a faremaleamiamoglie anche se non c’èmai stato bisogno di ospedali o denunce ma, a un certo punto, mi sono reso conto di tre cose determinanti: non mi piacevo, vivevo male con la rabbia che avevo dentro e sentivo che mia moglie mi avrebbe lasciato. Lei è una donna di polso, moderna, istruita e combattiva: non si è mai arresa ai miei comportamenti. Superata la fase critica me ne ha sempre chiesto conto e mi ha sempre affrontato per parlarne. Di questo non la ringrazierò mai abbastanza anche
NON ESISTE IL RAPTUS. E NEANCHE LA PROVOCAZIONE: CHI PICCHIA SCEGLIE DI FARLO
perché, nonostante tutto, il nostro è un buon matrimonio. Ci vogliamo bene e abbiamo appena festeggiato i 15 anni insieme. Però mi sono accorto che stava cambiando qualcosa di profondo tra noi e ho avuto paura di perderla.
ORA CONTROLLALA RABBIA
«Anche lei è stata qui a fare dei colloqui e quando tornavo dagli incontri le ho sempre raccontato su quali temi avevo lavorato. Renderla partecipe ci ha aiutati a ricostruire un clima di fiducia reciproca. Per quasi 10 mesi ogni giovedì sono venuto qui a parlare con uno psicologo del centro, poi è arrivato il momento del percorso di gruppo. All’inizio ero scettico o forse spaventato, poi, invece, il gruppo si è rivelato un’esperienza intensa, fondamentale per ilmio cambiamento. Niente come il confronto ti mette davanti alle tue responsabilità e ai tuoi meccanismi di reazione. E la solidarietà che nasce con le altre persone è fortissima: non ti senti più solo», racconta Lorenzo. «Grazie al mio cammino ho imparato a riconoscere il crescendo di emozioni che sento dentro di me quando discuto conmiamoglie, o con i miei figli. Prima è fastidio, poi irritazione, nervosismo, rabbia, aggressività e infine violenza. Io alla fase nervosismo so che devo mettere in atto delle strategie per interrompere la situazione: abbandono il posto in cui sono, esco a fare lunghe passeggiate e così impedisco che la temperatura emotiva salga. Mi calmo, mi ascolto, ragiono e le cose cambiano dentro dime. Non arrivo più a sentirmi travolto dalla rabbia», ragiona ancoraLorenzo seduto nella stanza della terapia di gruppo del Consultorio familiare di viale Don Minzoni. «Qui ho anche imparato che esistono tanti tipi di violenza, non solo quella fisica: c’è la violenza psicologica di chi crea un clima di paura, c’è quella verbale di chi offende e sminuisce e c’è quella economica di chi usa il denaro per controllare l’altra persona.
«Agli uomini che leggono la mia testimonianza vorrei dire un’ultima cosa: farsi aiutare è l’unica strada per cambiare. Io da solo non ce l’avrei mai fatta. Chiedete aiuto».