Ragazzo perduto? No, è un figlio di papà
HARACCONTATODI AVERAVUTOUN’ADOLESCENZARIBELLE, TRASPACCIO, PICCOLICRIMINI E TANTO DISAGIO. POI SI ÈSCOPERTOCHEVIENEDAUNAFAMIGLIABORGHESEEBENESTANTE. NOI ABBIAMOINDAGATO. FINOALLASUAAMMISSIONE: «LAMIABIOGRAFIAÈROMANZATA»
Sono cresciuto in un ambiente dove c’era il mito dei criminali. Io ero il prodotto di quell’ambiente sbagliato, volevo avere i soldi che non ho mai avuto. Iniziai a spacciare e a rubare motorini, arrivai perfino a fare delle rapine, mi ero procurato una pistola che usavo per minacciare le persone che rapinavo. Poi decisi che dovevo spacciare in grande, così entrai in contatto con delle famiglie criminali dalle quali compravo chili di droga che poi facevo vendere a una squadra di spacciatori che avevo creato». Ecco cosa raccontava Achille Lauro ai giornalisti nelle numerose interviste rilasciate, subito dopo il Festival di Sanremo 2019 che, con Rolls Royce, l’aveva consacrato a nuova leva trasgressiva del pop nostrano. Una storia dura, quella di Achille, tra droga e piccoli crimini nella periferia romana, raccontata nell’autobiografia Sono io Amleto, pubblicata da Rizzoli. Nella sua corsa verso gli inferi, viene anche arrestato, e se la cava con due mesi di galera (sempre secondo il suo racconto). A salvarlo dall’abisso è la sua passione per la musica: Achille ha iniziato a farsi le ossa nell’ambiente dell’underground romano con la trap, una variante del rap, fino alla consacrazione al Festival.
AL FESTIVAL HA FATTO SCALPORE
Quest’anno Achille Lauro fa il bis: si presenta a Sanremo con Me ne frego e fa scalpore con i suoi look strabilianti, vere e proprie rappresentazioni teatrali, creati in collaborazione con Alessandro De Michele, il direttore creativo di Gucci. Solo dopo il Festival, apprendiamo con un certo stupore, da un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, che la famiglia paterna di Achille Lauro (vero nome Lauro De Marinis) è di orgini pugliesi (fin qui nessuno stu
pore), e che si tratta di una famiglia tutta composta da alti funzionari dello Stato. Papà Nicola è un giudice della Corte di Cassazione ( per meriti accademici), ex professore universitario e avvocato di grido. Nonno Federico era un prefetto; il cugino del padre, Matteo, è viceprefetto in servizio a Bari, fino a poco tempo fa commissario antimafia nel comune di Laureana Borrello, in provincia di Reggio Calabria; lo zio Domenico è bancario a Perugia ed è stato in passato assessore al Bilancio in Provincia.
«È MOLTO LEGATO ALLA FAMIGLIA»
«Achille Lauro », leggiamo nell’articolo della Gazzetta del Mezzogiorno, «è un ragazzo perbene, molto legato alla famiglia, affezionato a Gravina, la terra delle origini dove, quando può, ama tornare per rivedere parenti amici e gustare piatti tipici come le orecchiette ai funghi cardoncelli».
Potete capire il nostro smarrimento. Ma come? E l’adolescenzamaledetta? I furti di motorini? L’ambiente sbagliato, i soldi che non ha mai avuto? Decisi ad andare a fondo, riusciamo a
rintracciare il cugino di secondo grado, Matteo DeMarinis, viceprefetto a Bari. Che ci dice: «Lauro è un bravo ragazzo, proveniente da un contesto familiare medio-alto. Si è costruito un personaggio, deve recitare una parte». Ah. Ma le scorribande giovanili ci sono state? De Marinis a questo punto ci dice gentilmente che non se la sente di rispondere, ci sono strategie che sono state adottate e lui preferisce starne fuori.
«MAI STATO IN GALERA, È UNA LEGGENDA»
Indaghiamo anche sulla vita adolescenziale di Boss Doms, ovvero Edoardo Manozzi, chitarrista e produttore di Lauro, anche lui presente sul palco di Sanremo con mise trasgressive. Pure qui ne esce il ritratto di un bravo ragazzo, che passa i pomeriggi in cameretta a suonare e partecipa ai pranzi domenicali con i parenti. E allora? Allora ci pensa Achille Lauro stesso a risolvere l’enigma, con un’intervista al Corriere della Sera in cui dichiara candidamente che: «No, nella vita non mi è mai mancato nulla. Su di me circola una leggenda nera inventata da gente che ha interpretato alla lettera il mio primo libro, che in realtà è una biografia romanzata». Poi precisa anche che: «No, non sono mai stato in galera, pure questa voce fa parte della leggenda». E pensare che proprio lui, in un’intervista del 2017 al giornale musicale Rockol, aveva affermato che, nelle sue canzoni «si percepisce che io sono davvero il protagonista delle mie storie, mentre spacciarsi per quello che non si è va di
moda nel rap italiano». Cerchiamo di essere comprensivi. Non deve essere facile farsi strada nei centri sociali e nelmondo del rap quando vieni da una famiglia super borghese, di prefetti e giudici per di più.
E allora, cosa c’è di meglio che creare una leggenda nera, con l’aiuto di una biografia romanzata? Ci siamo cascati tutti. Niente di nuovo: anche Mick Jagger si è sempre vergognato delle sue origini borghesi, così noiose rispetto a quelle veramente working class di PaulMcCartney e John Lennon. Anche i Sex Pistols, in fondo, furono creati a tavolino da Malcom McLaren. È la solita, vecchia, grande truffa del rock’n’roll.