Addio alla vita. E tutti tia chiedersi perché Maura e Simona erano legatissime
LE SORELLE VICECONTE, SCOMPARSEUNADOPOL’ALTRA. I DUEGIOVANI LICEALIDIMON NZA. LABELLASHOWGIRL INGLESE. HANNOSCELTODIMORIRE, LASCIANDOLEFAMIGLIESGOMENTE. SI POTEVA EVITARE? «NO, PURTROPPO L’INCONSCIO È IMPREVEDIBILE», DICE LO PSICHIIATRA Caroline Flack av
Teramo, 13 febbraio. Simona Viceconte, mamma di due figlie, un matrimonio in pezzi e un marito indagato per maltrattamenti, si toglie la vita impiccandosi alla ringhiera delle scale. Un anno fa sua sorella Maura, campionessa italiana di maratona, aveva compiuto lo stesso gesto, lasciando attoniti il marito e il figlio di otto anni.
Monza, 9 febbraio. Uno studente del liceo Frisi si getta sotto a un treno. Due settimane prima un suo compagno dello stesso istituto si era lanciato dalla finestra di casa. I due casi non paiono collegati, ma la scuola è sotto choc, la preside ha sospeso le lezioni. Palazzolo sull’Oglio (Brescia), 3 febbraio. Gian Marco Lorito, vigile urbano, si spara con la pistola d’ordinanza. Massacrato sui social per aver parcheggiato l’auto in un’area destinata ai disabili (scorrettezza per cui si era scusato e auto-multato), non ha retto alla vergogna.
Nelle ultime settimane, i casi di suicidio sembrano rincorrersi sulle pagine dei giornali. Storie diverse, età à differenti, ma un’identica spirale di dolore.
DIECI CASI AL GIORNO
Prima di cadere in falsi sens sazionalismi, chiariamo: no, i suici idi non stanno aumentando. Riass sumere una tragedia così immane in numeri è brutto, ma necessario: in It talia, le persone che si tolgono la vita sono in calo, erano 4.689 nel 1996, so ono state 3.870 nel 2016, cioè il meno 15% in vent’anni, dice l’Istat. Con sei i suicidi ogni 100 mila abitanti, il no stro Paese è quasi il fanalino di cod da della classifica europea, e una vol lta tanto c’è da rallegrarsene. Ma se pre endiamo questi numeri e li traduciamo o in volti, occhi, voci, figli, amici, studi, speranze, progetti, ricordi, c’è da rab bbrividire. Perché parliamo di dieci persone
che ogni giorno si tolgono la vita, dieci famiglie che non si danno pace, dieci “perché” che rimbombano. E quando si tratta di giovanissimi, la domanda è ancora più assordante.
NON PUÒ CAPITARE A TUTTI
«Il caso delle sorelle Viceconte colpisce, certo, ma a mio avviso nella loro r morte non c’è nulla di misterioso: entrambe e attraversavano dei momenti difficili e, purtroppo, la predisposizione al suicidio esiste», osserva Eugenio Gallavotti, giornalista e autore di Suicidio - Perché non è una cosa che può capitare a tutti. «Nella gran parte dei casi, l’atto di togliersi la vita è il drammatico epilogo di malattie psichiatriche diagnosticabili e curabili. Altrimenti non si spiegherebbe perché la mamma africana che vede annegare i figli nel Mediterraneo non necessariamente si unisce a loro, mentre una donna bella, ricca e di successo come la presentatrice inglese Caroline Flack, piena di amici e con un fidanzato che l’amava, abbia scelto di suicidarsi». Vent’anni fa, durante un divorzio difficile, anche Gallavotti era arrivato a pensare di farla finita. Per mesi ha alternato momenti di intensa depressione a periodi di irrequieta vitalità, «l’insidiosissimo “stato misto”». Se oggi sta bene, spiega, è grazie all’aiuto del suo psichiatra e della stimolazione cerebrale, la versione moderna dell’elettrochoc. «Tempo fa ho ricevuto una richiesta d’intervista su questo tema da parte di una giornalista di un importante quotidiano nazionale», racconta Gallavotti. «Non se n’è fatto nulla, perché il suo capo l’ha fulminata: “Noi di queste cose non parliamo!”. Ecco, il problema è
che parlare di depressione e disturbi dell’umore, in Italia, è un tabù. Ma se non se ne parla, non se ne esce. E invece, è fondamentale sapere che con le cure giuste si può guarire».
IL DOLORE DI CHI RESTA
Nel giugno di due anni fa, Alessandra Appiano, scrittrice molto amata e bellissima donna, si è tolta la vita gettandosi dal tetto di un hotel a pochi metri dall’ospedale in cui era in cura per una grave depressione. Suo marito Nanni Delbecchi ha denunciato la struttura per non aver protetto la moglie in un momento difficilissimo. Delbecchi è un survivor, un sopravvissuto, come la psichiatria definisce chi subisce la perdita di un familiare o un amico suicida. «Dopo la morte diAle mi hanno scritto in tantissimi, sopravvissuti come me», spiega Delbecchi, che per dare un aiuto a chi ha vissuto il suo stesso dramma ha fondato l’associazione Amici di salvataggio ( amicadisalvataggio@gmail. com). «Fare rete è l’unico modo per reagire. Essere un survivor è uno stato dell’anima dove il dolore si associa all’incredulità, dove ogni giorno devi
ÈUNTABÙ, MA SENONSENEPARLA NONSENEESCE Eugenio Gallavotti, 64, e (più a destra) il suo libro, Suicidio.
ricordare a te stesso cos’è successo». Resistere al senso di colpa, al pensiero di non aver capito, di non aver fatto abbastanza, è quasi impossibile.
I GIOVANI SONO PIÙ FRAGILI
«Io sono una persona troppo stanca per continuare», ha scritto nella sua lettera d’addioAlessioVinci, il 18enne genio della matematica che si è ucciso a Parigi gettandosi da una gru. In Italia, il suicidio tra gli under 25 è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali, 350 casi all’anno. I giovani, spiegano gli esperti, sono un mondo a parte. In loro c’è immaturità, fragilità emotiva, talvolta emulazione. Molti muoiono per errore durante una sfida, un gioco “eroico”. Quando poi ci sono in ballo sostanze stupefacenti, il rischio aumenta: i consumatori abituali di spinelli pensano al suicidio tre volte di più di chi non ne fa uso.
Maria Cristina Giongo, 68, e il suo
Mamma voglio morire.
Per Maria Cristina Giongo, autrice di Mamma voglio morire, la colpa è anche di noi genitori: «Lasciamo che i ragazzi vedano in tv immagini crude, che giochino con videogame violenti, che passino ore a litigare in chat. E pensiamo che questo non li turbi?». «Abbracciate i vostri figli, contrapponete il reale al virtuale», ripete costantemente PaoloPicchio, il papà di Carolina, bullizzata e suicida a 14 anni.
PREVEDERE È IMPOSSIBILE
Gli affetti, la famiglia, sono elementi protettivi. Eppure, chi ha vissuto la tragedia di un familiare suicida avrebbe davvero potuto fare qualcosa? SecondoMassimo Biondi, docente di Psichiatria e direttore del dipartimento di Neuroscienze alla Sapienza di Roma, la risposta è una sola: no. «La verità è che il suicidio è un atto imprevedibile», afferma il professore. «Collegare la scelta di togliersi la vita allamalattia psichiatrica è un grosso errore: non tutti i depressi si suicidano e non tutti i suicidi erano depressi. Se parliamo di adulti, quello di togliersi la vita è un gesto che può avere molte ragioni, persino razionali. E non è giusto considerare responsabile chi era vicino». L’idea del suicidio, spiega lo psichiatra, può nascere da fattori diversi: povertà, rabbia, mancanza di libertà (inRussia e inCina i dati sono allarmanti). L’algoritmo che permette di prevedere chi si ucciderà, dice Biondi, non esiste: «L’inconscio ha vie oscure e tortuose». Risolvere l’enigma del suicidio, scriveva Sigmund Freud, è risolvere l’enigma della vita.
L’ULTIMO GIORNO DI LEVI
La sera prima di suicidarsi, Primo Levi chiamò Giovanni Tesio, che lavorava alla sua biografia, per fissare un nuovo incontro. La mattina della sua morte, lo scrittore salutò cordialmente la portinaia che gli aveva portato la posta e le regalò il suo ultimo libro,
I sommersi e i salvati, con tanto di dedica. Mezz’ora dopo, Levi giaceva senza vita nell’androne del suo palazzo torinese. Si era buttato dal terzo piano.
I BAMBINI GUARD DANO IMMAGINI VIOLE ENTE E RIMANGONOS COSSI