Lucio Battisti Era spiato dalla Cia di Dea Verna
QUANDOSITRASFERÌALOSANGELESNEL 1975, PERCERCAREDISFONDAREINAMERICA, FINÌNELMIRINODEISERVIZI AMERICANI. CE LODICE INSOLITO BATTISTI, CHE VEDREMO IL5MARZOSURAI 3. TUTTONASCEDALLASUAPRESUNTASIMPATIAPERLADESTRA...
Che i servizi segreti inglesi spiassero i Beatles era una cosa nota. Piùsorprendente scoprireche la Cia, e anche i servizinostrani, avessero nelmirino l’apparentemente “innocuo” Lucio Battisti. A rivelarcelo, il documentario Insolito Battisti (prodotto da Indigostories) in onda in prima serata su Rai 3 il 5 marzo. «Mostreremo un altroLucio, meno conosciuto», ci spiega il regista Giorgio Verdelli. «Metteremo inluce il suogrande talento comemusicista, arrangiatore, discografico. Pochi lo sanno, ma perfino David Bowie lo apprezzava e aveva inciso la versione inglese Io vorrei, non vorrei, ma semai nel discodel suo chitarrista storico, Mick Ronson».
Ma torniamo alla spy story. A raccontarcelaèMicheleBovi, scrittore e giornalista esperto dimusica, che interviene nel documentario proprio su questo punto. «Tuttosuccedenel1975, quando Battisti si trasferisce a LosAngeles per tentare l’avventura americana», ci raccontaBovi. «Voleva affermarsi a livello internazionale e, con il beneplacito della Rca, va in California per registrare un disco in inglese, Images ».
Per fare questo, ci spiegaBovi, Battisti deve chiedere un permesso di soggiorno e di lavoro alle autorità americane. E qui scattano i controlli di prassi. I servizi americani chiedono lumi a quelli
italiani, e qui spunta un’informativa, che sarà poi trovata da Aldo Giannuli, lo storico che ha contribuito alla scoperta di una gran parte di documenti conservati nell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno. Secondo quell’informativa, Battisti era un finanziatore di un movimento di estremadestra, Soccorso tricolore. Giannuli stesso, però, spiega che a volte gli informatori, che venivanopagati a notizia, si inventavano di tutto pur di racimolare pochi soldi. «LucioBattisti votava Partito Repubblicano», aveva commentato BrunoLauzi. «Eparsimonioso com’era, figuratevi se finanziava qualcuno». I servizi americani, però, presero sul serio la cosa, come ci spiega Michele Bovi. Così trefunzionari americaniconvocarono il paroliere Franco Migliacci (autore con Modugno di Volare), per chiedergli se gli Stati Uniti avessero qualcosa da temere per l’arrivo di Lucio Battisti. A quel puntoMigliacci li tranquillizzò, spiegando l’assoluta innocuità di Battisti.
Finita qui? No. Il racconto di Bovi continua: i servizi chiamano Gianfranco Petrignani, cantante italiano, amico di vecchia data di Battisti, che ai tempi si esibivaaLasVegas. Gli chiedono di riprendere i contatti con Battisti, cosa che lui fa. I due amici si frequentano, vanno al mare, a Hollywood, ma soprattutto parlano ore al telefono. EPetrignani registra tutto, ore e ore di conversazioni. Lo fa, si giustificherà, perché lui era abituato a registrare tutte le telefonate, conoscendo poco l’inglese, per poterle poi riascoltarledopo. Saràstatodavvero quello il motivo?
Comunque sia, l’avventura di Battisti dura inAmerica seimesi. Il disco Images è un flop: forse perché la pronuncia diBattisti in inglesenonè impeccabile, forse perché gli americani amano il generemelodico e Lucio è troppo innovativo per loro. « Ah, Gianfra’, se vedemo a Milano », dirà Battisti a Petrignani al telefono. « Ho fatto butta’ alla casa discografica mezzo miliardo, torno a casa». Con buona pace dei servizi.