Quei saluti senza graduatorie Poi il contatto fisico gradatamente si allentò e nei venti anni del fascismo si accentuò ulteriormente:
Fra le novità di Sanremo, ho notato l’inflazione di baci e abbracci maschili. Ovvio che questo rito fra amici è sempre esistito.
Ma prima c’era una graduatoria nel saluto: un “Ciao” era più che sufficiente se l’incontro era quotidiano;
la stretta di mano interveniva se ci si vedeva piùdi rado; dopo mesi era legittimo un accenno di abbraccio e dopo anni era doveroso avvinghiarsi. Oggi basta non vedersi dal primo pomeriggio.
Nei romanzi d’appendice, l’abbraccio ha una sua collocazione virile: «Qua sulmio petto, mio prode!», esclamavano D’Artagnan e Sandokan. ci si salutava a braccio teso e per essere stretti fra le braccia di Mussolini bisognava aver fatto almeno tre fronti o dieci figli.
Il mito della virilità sopravvisse nel dopoguerra: ci si scambiavano strette di mano che slogavano i polsi (e se qualcuno non stritolava abbastanza se ne riportava un’impressione sgradevole).
Poi le cose lentamente sono cambiate. Sarà stato il ’68, la parità fra i sessi, le ridicole strette di mano fra i politici che continuano a pompare finché non scatta un flash, fatto sta che
anche le amicizie più virili hanno ceduto a più tenere effusioni
(escluderei quelle dei calciatori che si ammucchiano in raptus di reciproca idolatria; più sobri i piloti di F1, che si limitano a una bottarella sul casco). Un amico psicologo conviene:
la società italiana frana in una condizione desolante di tutti contro tutti. Per questo, gli amici si sentono ancora più amici.
Nel rapido scambio di gote c’è sottinteso «almeno tu non fregarmi».