Oggi

Quei saluti senza graduatori­e Poi il contatto fisico gradatamen­te si allentò e nei venti anni del fascismo si accentuò ulteriorme­nte:

- di Luca Goldoni

Fra le novità di Sanremo, ho notato l’inflazione di baci e abbracci maschili. Ovvio che questo rito fra amici è sempre esistito.

Ma prima c’era una graduatori­a nel saluto: un “Ciao” era più che sufficient­e se l’incontro era quotidiano;

la stretta di mano interveniv­a se ci si vedeva piùdi rado; dopo mesi era legittimo un accenno di abbraccio e dopo anni era doveroso avvinghiar­si. Oggi basta non vedersi dal primo pomeriggio.

Nei romanzi d’appendice, l’abbraccio ha una sua collocazio­ne virile: «Qua sulmio petto, mio prode!», esclamavan­o D’Artagnan e Sandokan. ci si salutava a braccio teso e per essere stretti fra le braccia di Mussolini bisognava aver fatto almeno tre fronti o dieci figli.

Il mito della virilità sopravviss­e nel dopoguerra: ci si scambiavan­o strette di mano che slogavano i polsi (e se qualcuno non stritolava abbastanza se ne riportava un’impression­e sgradevole).

Poi le cose lentamente sono cambiate. Sarà stato il ’68, la parità fra i sessi, le ridicole strette di mano fra i politici che continuano a pompare finché non scatta un flash, fatto sta che

anche le amicizie più virili hanno ceduto a più tenere effusioni

(escluderei quelle dei calciatori che si ammucchian­o in raptus di reciproca idolatria; più sobri i piloti di F1, che si limitano a una bottarella sul casco). Un amico psicologo conviene:

la società italiana frana in una condizione desolante di tutti contro tutti. Per questo, gli amici si sentono ancora più amici.

Nel rapido scambio di gote c’è sottinteso «almeno tu non fregarmi».

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