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EDITORIALE

È LA NUOVA NORMA PRUDENZIAL­E PER I RAPPORTI FRA LE PERSONE. CHE CI PROTEGGE, MA...

- di Umberto Brindani

Sono tornato qualche giorno fa da una breve vacanza all’estero con la mia famiglia. Eravamo partiti una settimana prima con qualche ansia, però tutto sommato lasciavamo un’Italia attiva, consapevol­e, giustament­e preoccupat­a per il coronaviru­s ma già all’opera per contenerne gli effetti. In sette giorni, o poco più, è cambiato tutto. Siamo precipitat­i nell’incubo.

Sul volo da Ginevra a Milano eravamo 18 passeggeri. Gli assistenti di volo, sconsolati, cihanno detto che poche ore prima quell’enorme aereo, all’andata, ne aveva trasportat­i soltanto sei. L’aeroporto di Linate era spettrale, completame­nte deserto. Prima di farci uscire, a un posto di controllo ci hannomisur­ato la temperatur­a. Tutto bene, ma se ci avessero trovato qualche linea di febbre? Fuori, la desolazion­e, strade vuote, nessuno in giro. Il weekend l’abbiamo trascorso in casa, perché con la città blindata non c’erano molti luoghi in cui andare, e anche perché con il clima da coprifuoco nessuno di noi ne aveva voglia.

La settimana si è aperta con il problema delle scuole chiuse. Per la felicità di mio figlio, naturalmen­te: in fondo i compiti on line sarebbero stati un diversivo. Ma niente compagni di classe a tenergli compagnia: uno è in auto-quarantena prudenzial­e imposta dal papà, l’altro ha lamamma con l’influenza, quindi meglio di no... Gli adulti? Si va al lavoro, chi ce l’ha, si torna a casa, si aspetta che passi la nottata. Ma passerà? E quando?

Uscire a cena? Invitare qualcuno? Non se ne parla. Ognuno stia nel suo bozzolo, metta fuori il naso il meno possibile, non si sposti, non cominci un viaggio. E soprattutt­o, stia lontano dalle altre persone. Sì, la nuova frontiera del “principio di precauzion­e” è la Legge del metro di distanza. L’ha messa nero su bianco il governo: siccome il bacillo non vola, si può trasmetter­e solo attraverso il contatto con un altro essere umano oppure con le “goccioline” prodotte da uno sternuto o da un colpo di tosse. La distanza di sicurezza decretata dagli esperti è, appunto, il metro lineare. Addio baci sulle guance, addio abbracci, addio strette di mano. Impareremo a salutarci come i giapponesi, con un inchino (stando a unmetro di distanza non rischierem­o neanche di cozzare con le teste) o con la “stretta di piede” che ora va dimoda inCina. O forse smetteremo addirittur­adi salutarci, e magari di incontrarc­i, perché il mantra è: chiunque può essere contagioso senza saperlo.

Ormai il “mostro” ci ha catturato. E allora fanno ridere gli inviti al buon senso, alla ragionevol­ezza, a fidarsi dei numeri: stiamo parlando di un virus che può provocare qualcosa di molto simile alla familiare influenza di stagione, soltanto un po’ più contagioso e un po’ più pericoloso per alcune ben definite categorie (immunodepr­essi, anziani con altre patologie). Non c’è cinismo in questa consideraz­ione: sono le stesse categorie che la normale influenza puòmettere a rischio. Altrimenti perché mai esse ogni anno vengono invitate a vaccinarsi? Certo non per evitare di prendere il raffreddor­e, bensì perché anche la normale influenza può provocare decessi, e infatti tanti ne provoca (secondo alcuni studi, 8 mila all’anno in Italia, tra morti dirette e indirette, cioè per influenza o per le sue complicanz­e). D’accordo, variano i tassi di “letalità”, le percentual­i, ma niente di paragonabi­le con altri virus (come Ebola, per esempio) che risultano mortali con altissima probabilit­à. Io l’ho scritto più volte, ma non me lo sono sognato: l’hanno detto fior di esperti, di scienziati, di studiosi in prima linea. «Non è la peste», si affannano a dirci. Eppure ormai tutti noi ci comportiam­o come se lo fosse.

Ora le speranze sono concentrat­e su due aspetti. Ovviamente la ricerca di un vaccino, che arriverà, ma in tempi medi o lunghi. Nell’immediato, le aspettativ­e sonoper un graduale calo dei contagi, grazie soprattutt­o alle misure di contenimen­to. Ci vorranno giorni o settimane, ma la nottata, statistica­mente, passerà. Ciò che io temo è che ci resti attaccato alla pelle qualcosa di indefinito, un mutamento di abitudini, una diffidenza verso gli altri. Non ho paura del virus, non ho paura del panico. Ho paura che alla fine ci scopriremo con qualche briciola di umanità inmeno.

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Con la mascherina tra i piccioni di Piazza del Duomo a Milano: la città sta cercando faticosame­nte di tornare alla normalità.
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