EDITORIALE
È LA NUOVA NORMA PRUDENZIALE PER I RAPPORTI FRA LE PERSONE. CHE CI PROTEGGE, MA...
Sono tornato qualche giorno fa da una breve vacanza all’estero con la mia famiglia. Eravamo partiti una settimana prima con qualche ansia, però tutto sommato lasciavamo un’Italia attiva, consapevole, giustamente preoccupata per il coronavirus ma già all’opera per contenerne gli effetti. In sette giorni, o poco più, è cambiato tutto. Siamo precipitati nell’incubo.
Sul volo da Ginevra a Milano eravamo 18 passeggeri. Gli assistenti di volo, sconsolati, cihanno detto che poche ore prima quell’enorme aereo, all’andata, ne aveva trasportati soltanto sei. L’aeroporto di Linate era spettrale, completamente deserto. Prima di farci uscire, a un posto di controllo ci hannomisurato la temperatura. Tutto bene, ma se ci avessero trovato qualche linea di febbre? Fuori, la desolazione, strade vuote, nessuno in giro. Il weekend l’abbiamo trascorso in casa, perché con la città blindata non c’erano molti luoghi in cui andare, e anche perché con il clima da coprifuoco nessuno di noi ne aveva voglia.
La settimana si è aperta con il problema delle scuole chiuse. Per la felicità di mio figlio, naturalmente: in fondo i compiti on line sarebbero stati un diversivo. Ma niente compagni di classe a tenergli compagnia: uno è in auto-quarantena prudenziale imposta dal papà, l’altro ha lamamma con l’influenza, quindi meglio di no... Gli adulti? Si va al lavoro, chi ce l’ha, si torna a casa, si aspetta che passi la nottata. Ma passerà? E quando?
Uscire a cena? Invitare qualcuno? Non se ne parla. Ognuno stia nel suo bozzolo, metta fuori il naso il meno possibile, non si sposti, non cominci un viaggio. E soprattutto, stia lontano dalle altre persone. Sì, la nuova frontiera del “principio di precauzione” è la Legge del metro di distanza. L’ha messa nero su bianco il governo: siccome il bacillo non vola, si può trasmettere solo attraverso il contatto con un altro essere umano oppure con le “goccioline” prodotte da uno sternuto o da un colpo di tosse. La distanza di sicurezza decretata dagli esperti è, appunto, il metro lineare. Addio baci sulle guance, addio abbracci, addio strette di mano. Impareremo a salutarci come i giapponesi, con un inchino (stando a unmetro di distanza non rischieremo neanche di cozzare con le teste) o con la “stretta di piede” che ora va dimoda inCina. O forse smetteremo addiritturadi salutarci, e magari di incontrarci, perché il mantra è: chiunque può essere contagioso senza saperlo.
Ormai il “mostro” ci ha catturato. E allora fanno ridere gli inviti al buon senso, alla ragionevolezza, a fidarsi dei numeri: stiamo parlando di un virus che può provocare qualcosa di molto simile alla familiare influenza di stagione, soltanto un po’ più contagioso e un po’ più pericoloso per alcune ben definite categorie (immunodepressi, anziani con altre patologie). Non c’è cinismo in questa considerazione: sono le stesse categorie che la normale influenza puòmettere a rischio. Altrimenti perché mai esse ogni anno vengono invitate a vaccinarsi? Certo non per evitare di prendere il raffreddore, bensì perché anche la normale influenza può provocare decessi, e infatti tanti ne provoca (secondo alcuni studi, 8 mila all’anno in Italia, tra morti dirette e indirette, cioè per influenza o per le sue complicanze). D’accordo, variano i tassi di “letalità”, le percentuali, ma niente di paragonabile con altri virus (come Ebola, per esempio) che risultano mortali con altissima probabilità. Io l’ho scritto più volte, ma non me lo sono sognato: l’hanno detto fior di esperti, di scienziati, di studiosi in prima linea. «Non è la peste», si affannano a dirci. Eppure ormai tutti noi ci comportiamo come se lo fosse.
Ora le speranze sono concentrate su due aspetti. Ovviamente la ricerca di un vaccino, che arriverà, ma in tempi medi o lunghi. Nell’immediato, le aspettative sonoper un graduale calo dei contagi, grazie soprattutto alle misure di contenimento. Ci vorranno giorni o settimane, ma la nottata, statisticamente, passerà. Ciò che io temo è che ci resti attaccato alla pelle qualcosa di indefinito, un mutamento di abitudini, una diffidenza verso gli altri. Non ho paura del virus, non ho paura del panico. Ho paura che alla fine ci scopriremo con qualche briciola di umanità inmeno.