Italiani a tavolaMaperché nessuno vuole le penne lisce?
SOLE. REIETTE. INVENDUTE. LE RAZZIE NEI GRANDIMAGAZZINI HANNO MOSTRATOLA VERITÀ: QUESTO FORMATO DI PASTA AGLI ITALIANI NON PIACE. PERCHÉNONÈ BUONO? MACCHÉ. ILMOTIVOÈ UNALTRO
Prendiamone atto, il Coronavirus ha portato alla luce verità inappellabili. La prima è che gli italiani frequentano il Pronto Soccorso come fosse il club del burraco. La seconda, che i nostri connazionali delle penne lisce non sanno cosa farsene. Non le amano, non le mangiano, non le comprano. La prova, alcune foto scattate al supermercato che hanno fatto il giro del web. Sugli scaffali deserti, un unico formato resta invenduto: le povere penne lisce languono solitarie, reiette come pària. Così, dopo giorni di dotte disquisizioni sui disinfettanti fatti in casa, il dibattito è esploso: le penne lisce sono davvero una pasta di serieB? Ecco le verità e i luoghi comuni da sfatare.
Vendono di meno: vero. Secondo i dati diAidepi, l’Associazione italiana del dolce e della pasta, i tre formati più venduti nel nostro Paese sono gli spaghetti (il 20% del totale), le penne rigate e i fusilli. A seguire arrivano tortiglioni, elicoidali e rigatoni e poi spaghettini, farfalle, mezze maniche e linguine. Con alcune, significative, differenze regionali: in Campania va forte la pasta mista ( ammescata), in Puglia le orecchiette, a Bologna la
OVVIO CHE SIANO EMARGINATE: LA POVERA SALSA SCIVOLA, SCIVOLA, SCIVOLA
NONÈVERO CHE QUELLE RIGATE PRENDANO PIÙ SUGO: CONTALAQUALITÀ DEL PRODOTTO
gramigna. Delle penne lisce, nella top ten, neanche l’ombra.
Non trattengono il sugo: falso. «E no, nun me toccate le penne lisce eh?», esclama lo chef Gianfranco
Vissani. «Provatele col sugo di pomodoro e basilico, mantecate in padella col Parmigiano e poi se ne riparla». Secondo Vissani, l’ostracismo verso questo formato di pasta nasce da un equivoco: «La gente pensa che quelle
rigate raccolgano più sugo, ma non è vero. Quel che conta è la qualità della pasta: compratela buona e poi vedrete come si bevono la salsa».
Non tengono la cottura: dipende.
La penna liscia aperta in due e appiccicata sul fondo della pentola esiste, e spezza il cuore. «Il problema nasce dalla lavorazione industriale, che fa perdere a questo formato le sue caratteristiche migliori», assicura su Gamberorosso.it Dino Martelli, titolare del blasonato pastificio artigianale omonimo, nato nel 1926. «Noi produciamo soltanto quelle lisce, le “classiche”. Le trafiliamo al bronzo e le essicchiamo a 36°, contro gli 80-120° dell’industria. E la differenza si vede». Per i puristi della pasta le lisce sono le migliori, le uniche che consentono una cottura omogenea. Mentre quelle rigate, piene di avvallamenti, restano al dente solo nella parte più spessa.
Le originali sono rigate: falso. Le penne lisce nascono nel 1865 dal brevetto di Giovanni Battista Capurro. Fu lui a inventare il macchinario che diede vita alla variante corta degli ziti (o zite), la pasta che a Napoli le donne non maritate preparavano a mano la domenica. Ed è da quel taglio obliquo a 45°, simile a un pennino stilografico, che nasce il nome delle penne. Gli esperti spiegano che al Sud la pasta è sempre stata liscia; quella rigata cominciò a essere prodotta nel Dopoguerra per i mercati del Nord, per mascherare i difetti di produzione industriale. La pubblicità, poi, l’ha spinta sul mercato.
Le penne lisce sono scivolose: per Luciana Littizzetto è verissimo: «Cara penna liscia, sola come un canederlo in brodo, emarginata anche in emergenza. Chiediti perché, fattela una domanda, grande capa penna liscia. Te la do io la riposta. Perché il sugo su di te non ci sta, scivola, scivola, scivola», scrive Lucianina. Non è vero, insistono gli chef, le penne di buona qualità, trafilate al bronzo, possiedono la porosità perfetta e si piegano docili al volere della forchetta. La ricetta migliore per fare la prova è l’Arrabbiata, preparata rigorosamente con pomodori freschi, aglio, olio, prezzemolo e una spolverata di pecorino romano. Le penne continuano a sgusciare? Vissani, al suo solito, è molto pragmatico: «Sono buone e basta, le mangiassero col cucchiaio!».