Diario del contagio: con il ciclamino sboccia la speranza
Sono passati più di dieci giorni. Sembrano un’eternità.
In quarantena, a Codogno. La noia costringe a ingegnarsi. Il mio amico Stefano racconta che sua moglie è stata contagiata dal virus del “sistemiamolarmadio”. Preso a tradimento, ha passato così il suo weekend. Camilla ha 5 anni. È abituata ad andare all’asilo, a danza e al corso di inglese. È stufa di stare solo con la sua mamma. E credo viceversa.
Si fanno i compiti, si disegna, si colora, ci si traveste, si guardano i cartoni animati.
E si cucina. Un’amica ha fatto una meravigliosa crostata con la crema di pistacchi. Vorrei tanto autoinvitarmi a mangiarne una fetta. Ma non si può. Un altro amico passa il tempo a fare video, che lui vorrebbe essere comici, per poi condividerli on line e in chat. Mi chiedo se saremo ancora amici quando questa quarantena finirà.
La paura è un’altra compagna di viaggio.
Al supermercato una signora mi guarda con disapprovazione. Fino a quando non estraggo la mascherina dalla borsa e me la metto. Dicono che non è necessaria, ma obbedisco. Un’amica non è ancora andata a trovare i suoi genitori: ha paura di contagiarli perché, anche se sta bene, è entrata in contatto con una persona che potrebbe essere positiva. Ma il risultato del tampone ancora non è arrivato.
I miei compaesani avevano iniziato a rimettere la testa fuori da casa. La pioggia, però, li ha fatti rientrare. Ad ascoltare la colonna sonora di questa nostra incredibile situazione: le sirene delle ambulanze.
Ormai serpeggia un po’ ovunque che due settimane non saranno sufficienti.
Almeno per noi. E iniziamo a chiederci, guardando i numeri e i luoghi del contagio: ma è giusto?
Io lavoro. Le ore che prima passavo in treno ora le dedico alle mie piante. Il ciclamino l’anno scorso non era fiorito. In questi giorni è sbocciato. Un piccolo segno di speranza.