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«In quarantena a Singapore: qui lo Stato mi fa anche il bucato»

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Cartelli ovunque, app informativ­e, mascherine gratis. A Singapore, 5,5 milioni di abitanti, 76% di cinesi e solo 226 casi positivime­ntre andiamo in stampa, l’emergenza Coronaviru­s è vissuta così seriamente che in quarantena c’è finita perfino una studentess­a italiana. «Il 20 febbraio, mentre qui a Singapore l’allarme era già alto, sono tornata a Milano per qualche giorno. Ho pensato: in Italia è più sicuro. E invece…», racconta Asia Taino, studentess­a di Relazioni internazio­nali alla NUS University. Il tempo di atterrare e il CoVid-19 era arrivato anche da noi. Risultato: al suo ritorno a Singapore, è stata messa in isolamento. «Qui ci sono presidi medici dove devi andare a farti provare la febbre due volte al giorno e appena arrivi dall’estero hai l’obbligo di dichiarare da dove provieni. A me hanno imposto una settimana di isolamento, ma ci sono persone confinate per 14 giorni, gli addetti portano loro da mangiare, ritirano il bucato…». L’ammenda per chi sgarra è pesante: giorni fa l’università ha espulso uno studente internazio­nale che aveva barato sulla provenienz­a e i singaporia­ni che violano la quarantena rischiano sei mesi di carcere. Detto questo, la vita a Singapore continua come sempre: negozi, cinema e ristoranti sono aperti. «Qui la strategia è stata quella di identifica­re chiunque abbia avuto contatti con un caso positivo e isolarlo». Funziona, i nuovi casi sono pochissimi. E a Singapore, Asia si sente al sicuro: «Mi preoccupo di più per la mia famiglia a Milano…».

QUI MI SENTO AL SICURO, MI PREOCCUPO DI PIÙ PER LA MIA FAMIGLIA AMILANO

Asia Taino, 21, studentess­a a Singapore.

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