EDITORIALE
NONLOÈL’OLANDA, FORSE NEPPURE L’ ITALIA. MANONCONTAL’ETÀ, CONTAI L VALORE DELLA VITA
L’altra sera su Netflix ho visto un piacevole film del 2017, Insospettabili sospetti. È la storia di tre anziani signori che, defraudati della pensione, decidono di rapinare la banca che li tartassa. I tre attori sono stelle di Hollywood di prima grandezza: Michael Caine (oggi 87enne), Morgan Freeman (82) e Alan Arkin (86). Quest’ultimo è anche protagonista, insieme con Michael Douglas (73), di una deliziosa serie, sempre su Netflix, che si intitola Il metodo Kominsky: anche qui, uomini non più giovani che non mollano di un centimetro, tra le difficoltà, i dubbi e gli acciacchi dell’età.
Il cinema, soprattutto quello americano, ci ha riempito di storie simili, potremmo dire di resilienza anagrafica. Da Cocoon a Sul lago dorato, da A spasso conDaisy al cartone animato Up, da Gran Torino a Red (un acronimo che in italiano suonerebbe come “Pensionati estremamente pericolosi”). Ma mentre il mondo dello spettacolo tratta l’invecchiamento con un approccio positivo e consolatorio (l’età non conta, conta chi siamo e cosa facciamo), la realtà del Coronavirus si sta incaricando di comunicarci il contrario, e cioè che gli anziani varrebberomeno dei giovani, anzi sarebbero una zavorra che può essere lasciata andare.
L’autorevole sociologo Giuseppe De Rita (87 anni) ha raccontato che in Olanda (sempre la terribile Olanda) ci vanno giù piatti: «Gli over 70 hanno ricevuto un bel modulo in cui si impegnano, in caso diCoronavirus, a nonricoverarsi in ospedale pernonsottrarre posti a chiha più possibilità di guarire. E il bello è che lo hanno firmato tutti». Anche da noi ci sono state polemiche, nei momenti dimassimo affollamento delle terapie intensive. Qualcuno ha detto che veniva fatta una selezione in base all’età, ma non è così. Da sempre gli specialisti del settore e gli anestesisti sanno che, se c’è un solo posto per due persone in condizioni critiche, quel posto viene assegnato a chi ha più probabilità di farcela. Nessuno lo ammetterà mai, ma se in un Pronto soccorso arriva un ragazzo in pericolo di vita per un incidente, per tentare di salvarlo si staccherà la spina a un malato terminale per il quale non c’è più speranza di sopravvivenza. Ma l’età non c’entra. C’entra la vita.
Alcuni hanno anche fatto strepitosi elenchi, non si sa quanto attendibili, di come certe popolazioni trattavano i loro vecchi. Gli indios tropicali li abbandonavano nella foresta, i chukchi siberiani li asfissiavano con una corda intorno al collo, nel Sud Pacifico li seppellivano vivi, i vichinghi norse li inducevano a buttarsi da un dirupo... Tutto questo per sostenere che sarebbe nella natura umana la tendenza a disfarsi dei più deboli, di coloro che non producono più e diventano un peso.
Già. Peccato che centinaia di anni di crescita economica, sociale e culturale ci abbiano insegnato qualcosa sul valore della vita e sul fatto che ogni vita ha un valore. Si chiama civiltà. Uguaglianza delle persone, rispetto reciproco, solidarietà. Poi, certo, gli studiosi di statistica e i manager delle assicurazioni attribuiscono a ogni vita un valore monetario. Negli Stati Uniti il prezzo di ciascuno sarebbe intorno ai 14milioni di dollari, ma quello degli anziani il 37 per cento in meno, 9 milioni. Mah. Per me sono numeri senza nessun significato. Charles Bukowski ha scritto: «Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa in un forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media».
Edunque cosa dobbiamo pensare di questa strisciante “eutanasia sociale” per cui chi è vecchio e malato dovrebbe farsi da parte? Io ho 62 anni, non sono più giovane e non sono ancora vecchio, lavoro e produco, ma sono vicino alla fascia di età che i senza cuore vorrebbero falcidiata. Però anche se avessi vent’anni avrei stampato nella coscienza il concetto guida della civiltà: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa regola ha anche un nome, si chiama “etica della reciprocità”, ed è presente in forme diverse in tutte le religioni e le filosofie del mondo, dai Greci antichi al cristianesimo, dal buddismo all’Islam. È ciò che ci definisce come esseri umani. Sarebbe bello che tutti, non solo i terribili olandesi, ce ne ricordassimo in ogni momento.