Oggi

Non conoscevo Viola, mami inviava biglietti per dire grazie

IRENE NASONE ÈMEDICO, HA 28 ANNI, È ARRIVATA DAL SUD INLOMBARDI­AVINCENDOU­NCONCORSO. «ILVIRUSMI HA CATAPULTAT­OINPRIMALI­NEA. È STATADURA, MAIMESSAGG­I DELLA PORTA ACCANTOMI HANNOFATTO­SENTIRE AMATA»

- di Cristina Bianchi

Questa storia comincia nell’alba più difficile per la dottoressa Irene, che si sveglia dopo una lunga notte di pianto. «Quella notte di metà marzo, all’ospedale di Treviglio, presidio d’emergenza Covid, non avevamo più posto per ricoverare i pazienti. Erano sulle barelle, nei corridoi... Ho benedetto tante persone che se ne sono anandate quella sera. Noi medici e infermieri, secondo la dispensa del Papa, quando serve facciamo anche quello».

Ma, tornando a casa, la giovane specializz­anda trova un messaggio dei vicini appeso alla finestra: «Andrà tutto bene, grazie per quello che fai». E un grande arcobaleno disegnato da mani infantili.

Riavvolgia­mo il nastro di pochi mesi. Irene Nasone, 28 anni, di Reggio Calabria, ha appena vinto il concorso per specializz­anda in medicina d’urgenza e arriva a Milano. Dopo poco tempo viene catapultat­a dall’ospedaleHu­manitas a quello di Treviglio, in prima linea, come tanti “eroi” sconosciut­i del nostro Paese. Arrivata da poco in città, in una casa dove non conosce nessuno, quel messaggio la commuove. E risponde con un post-it giallo: «Grazie per questo seme di speranza, ogni volta lo vedo e sorrido».

CIOCCOLATO, DISEGNI, E REGALI FATTI A MANO

Qui comincia un’amicizia speciale: con Viola, 8 anni, la vicina di casa mai vista. «Da alloraViol­a ha cominciato a lasciarmi alla porta letterine colorate, disegni bellissimi, oppure piccoli doni per incoraggia­rmi», racconta Irene.

«Per le feste di Pasqua, Viola ha confeziona­to un piccolo conigliett­o, cucito a mano. Lamattina dopo, io le ho lasciato un uovo di cioccolato davanti alla porta. Arrivata dalla Calabria in una cittadina dove non conoscevo nessuno, questa amicizia a distanza con la bimba e i suoi genitori mi ha confortato tantissimo».

Prima, a Milano, Irene si era subito ambientata: «La mia tutor all’Humanitas, i miei colleghi, tutti erano affettuosi. Ma quando improvvisa­mente sono stata assegnata a Treviglio, i “milanesi” mi avevano messo un po’

in guardia. “Attenta, i bergamasch­i sono diffidenti, chiusi”. Invece ho scoperto che sono generosiss­imi. Non solo i miei vicini di casa, ma anche i pazienti, i loro parenti, i medici e il personale sanitario». Anche se «all’inizio mi parlavano in bergamasco e non capivo nulla... Prima dell’emergenza vera, era quasi comico. Dicevo: “Parlate piano, vengo dal sud, non capisco il dialetto”».

L’EMOZIONE DI UN INCONTRO

Quando ci risentiamo al telefono per aggiornarc­i su Viola, Irene ha la voce affannata, sta facendo gli scatoloni di nuovo, da sola: «Trasloco, mi hanno richiamato a Milano », dice .« Il miof idanzato non può aiutarmi, è a Reggio Calabria. Mi mancano lamia terra, i miei genitori». Ma prima di partire, con la signora Elisa, la mamma di

Viola, hanno concordato una sorpresa: un vero saluto alla bimba e alla sua famiglia, per quanto dalla finestra. Un grande abbraccio virtuale a distanza, occhi negli occhi.

Ricorda Irene: «Diceva Madre Teresa di Calcutta: cerca di fare piccole cose ma con grande amore. L’amore di Viola - e dei suoi genitori - in questi giorni mi ha aiutata tantissimo. Resteremo legate per sempre».

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