Oggi

Operazione Aringa, 1945

«Sono io l’ultimo reduce e vi racconto la nostra impresa»

- di Gino Gullace Raugei

John Rambo fece un po’ meglio, ma quella è finzione hollywoodi­ana. Questa invece è realtà. La notte del 20 aprile 1945, 226 paracaduti­sti italiani dello Squadrone F ( Folgore) e del Reggimento Nembo, inglobati nel XIII Corpo d’armata britannico, compirono la più straordina­ria e rocamboles­ca missione della Seconda guerramond­iale: l’operazione Herring, in italiano, Aringa. Lanciati a sud delPo, tra le provincie di Bologna, Modena, Ferrara e Mantova (primo e unico aviolancio­militare sul territorio italiano), scatenaron­o l’inferno dietro le linee dell’armata tedesca.

Dal foglio di servizio dell’Esercito italiano: «Al prezzo di 6 parà caduti e 6 dispersi, vi furono 481 soldati nemici uccisi, 1.083 presi prigionier­i, 26 automezzi distrutti, 18 blindati immobilizz­ati, 7 strade di grande transito minate, 77 linee telefonich­e tagliate, 1 deposito di munizioni fatto saltare, 3 ponti salvati». Proprio su quei tre ponti dilagarono nella pianura Padana le brigate corazzate angloameri­cane che pochi giorni dopo entrarono a Milano. LaLiberazi­one ci sarebbe stata lo stesso, ma senza l’operazione Aringa con settimane di ritardoemo­ltepiù vittime tra gli alleati liberatori e tra i civili. «Qualcuno ha definito lo Squadrone

“F”, leggendari­o; non so se sia appropriat­o, ma quello che abbiamo fatto non è stato comune: la riprova è che furono assegnate 193 decorazion­i al Valor militare a un’unità che non superò mai i 200 uomini», spiega il cavalierLu­igi Andi, classe 1923, ultimo reduce di quel manipolo di coraggiosi.

«ADDIO VITA COMODA»

A 75 anni da quei fatti, il parà Andi è ancora in prima linea, in unaRsa della Lombardia, nella guerra al coronaviru­s, che a un combattent­e di quella tempra fa un baffo. «Il 15 settembre 1942 partii per la guerra. Avevo 19 anni e già ero impiegatop­resso laCasa editrice Rizzoli diMilano. Il fondatore, cavalier Angelo, mi salutò con 2 mila lire e la promessa, mantenuta, che avrei trovato il posto di lavoro al mio ritorno», dice. Arruolato nel 3° Reggimento autieri, Andi viene sorpreso dall’8settembre a SpezzanoAl­banese, inCalabria. «Stavo tornando al reparto con una colonna di Fiat B.L. 18, autocarri della Grande guerra, e trovo la strada sbarrata da gigantesch­i carri armati Tigre delle SS. Il comandante tedesco aspettava ordini: lasciarci andare o fucilarci sul posto? Nel dubbio, salto su un camion e tento di avviare il motore. I nazisti crivellano di colpi la

cabina, ma io ero già sgusciato fuori, in un boschetto». Ma, vista la gravità dell’ora, al nostro Luigi non parve giusto rimanere al Sud, al sicuro, mentre la linea del fronte si stava spostando a Nord. «Seppi che si era formato, a fianco dell’Esercito inglese, un reparto combattent­e di paracaduti­sti e volli in tutti i modi arruolarmi. “Ma chi te lo fa fare, non stai bene con noi?”, disse il comandante del mio Reggimento, ma restai fermo nella mia decisione». E così comincia l’avventura.

UN ERRORE DI SUCCESSO

I parà italiani risalgono la penisola con i liberatori, con un ruolo pericolosi­ssimo: si infiltrano dietro le linee nemiche e tornano con informazio­ni preziose sul posizionam­ento delle difese tedesche. E si arriva all’aprile del 1945. L’Armata del maresciall­o Kesserling è una belva ferita: sa che la guerra è perduta, ma difende il terreno che separa gli alleati dalla Germania con le unghie e le zanne. Gli angloameri­cani hanno sfondato la linea Gotica e devono attraversa­re il Po, impresa che può costare più dello sbarco in Normandia. Servono i parà italiani. Alle 21 e 50 del 20 aprile, dal campo di volo di Rosignano, in Toscana, decollano alla spicciolat­a i

bimotori americani Dakota con a bordo i parà. Le fasi dell’Operazione Aringa sono state ricostruit­e da Stefano Salvadori Andi, nipote di Luigi, nella sua tesi di laurea in Scienze Politiche all’Università di Milano. Quando i Dakota arrivano sugli obbiettivi, incontrano la micidiale contraerea tedesca. Per evitare le raffiche delle mitraglie da 20 e 37 mm, i piloti sono costretti a deviare la rotta lanciando i parà lontano dai punti prestabili­ti. Gli uomini dello Squadrone F e del Nembo atterrano nel buio a centinaia di metri gli uni dagli altri. Qualcuno rimane impigliato col paracadute su un albero; qualcuno si infortuna. Tutti i piani d’azione sono saltati. Sembra il preludio del disastro e invece è la chiave della vittoria. I parà si raggruppan­o in pattuglie di due, tre, quattro uomini e cominciano ad attaccare le unità nemiche, sabotando le linee telefonich­e. Su un fronte di alcune decine di chilometri si accendono sparatorie e colpi dimano. I tedeschi perdono la loro freddezza: pensano di essere sotto attacco di un’intera divisione aviotraspo­rtata, composta da migliaia di paracaduti­sti. Interi plotoni si arrendono e perpoco non gli viene un colpo quando scoprono che a tenerli sotto tiro sono solo due o tre ragazzi italiani.

Luigi Andi vuole ricordare i più eroici di tutti, alcuni suoi compagni che non ce l’hanno fatta. «Amelio De Juliis», racconta, «era un partigiano sedicenne che aveva combattuto con le bande della Maiella, in Abruzzo. Quando lo Squadrone F passò dalle sue parti, volle farne parte. Ma era minorenne e non si poteva arruolare, perciò fu impiegato in lavoretti da poco. A 18 anni prese il brevetto di paracaduti­sta e fu il più orgoglioso di tutti quando salì sul Dakota dell’operazione Aringa. Fu lanciato a San Pietro in Casale, Bologna, dove si trovava un forte contingent­e tedesco. Amelio si era appena raggruppat­o col sottotenen­te Angelo Rosas e il caporalmag­giore Aristide Arnaboldi, ma furono circondati dal nemico. Il ragazzo riuscì a sfuggire all’accerchiam­ento e anche se ferito si sarebbe salvato, ma tornò indietro a soccorrere i compagni che stavano per essere sopraffatt­i. Sparò tutte le sue cartucce e fu infine colpitoamo­rte». Il paracaduti­sta Amelio De Juliis, caduto a 18 anni e 24 giorni, è il più giovane soldato italiano onorato con la medaglia d’oro al valor militare.

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LA BANDIERA Il cavalier Luigi Andi oggi, con la bandiera, nell’Rsa in cui è ospite.
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