Caso Lombardia
Perché Attilio Fontana ha fallito (e Luca Zaia no)
ia di racconti strazianti. Che spesso iniziano allo stesso modo. La storia di persone care o amici che hanno cominciato ad avere febbre e tosse, si sono rivolti al medico di base e sono stati invitati a rimanere in casa e a riempirsi di tachipirina. Così per giorni, settimane, fino al tracollo, alla crisi respiratoria, alla corsa in ospedale e al ricovero d’urgenza, quando da fare ormai rimaneva poco.
È la fotografia di unmodello operativo che secondo Angelo Capelli, docente di diritto sanitario, «è connotato da una fortissima ospedalizzazione di grande qualità, ma senza un livello organizzativo adeguato di cure territoriali. La Lombardia ha limitato la verifica dei contagi ai casi con i sintomi più gravi, trattati negli ospedali. Il Veneto ha inseguito i potenziali contagi e cercato di isolarli. Il che tradotto significa che la Lombardia (e il Governo) hanno creduto di gestire la cura dei contagi. Il Veneto ha cercato di evitarli».
Questo, secondo gli esperti, sarebbe il nocciolo della questione. Il risultato è che il sistema lombardo, sottoposto a un’ondata incontrollata di malati, non ha retto. E chi lo avrebbe dovuto governare in mezzo alla tempesta, ha adottato scelte non sempre azzeccate. Decisioni che in alcuni casi potrebbero addirittura essere configurate come reati. La procura di Bergamo indaga su una serie di punti critici. Alcuni come lamancata istituzione della zona rossa in valle Seriana o la chiusura dell’Ospedale di Alzano dopo il primo caso di Covid e la sua riapertura a distanza di appena tre ore (a Codogno il pronto soccorso è rimasto chiuso tre mesi), sono riferibili anche alla realtà locale. Altri si sono ripetuti, come criterio operativo, anche in altre zone. Come il trasferimento di malati nei ricoveriper anziani con la diffusione del contagio tra persone particolarmente vulnerabili, la scarsità di strumenti di protezione per medici e infermieri, l’assenza di percorsi separati per malati Covid e personale sanitario, la scarsa disponibilità di tamponi per la popolazione e gli operatori sanitari. I numeri di Unimpresa parlano. Ma la storia da scrivere è ancora lunga.
Nel Pio Albergo Trivulzio sono morti 300 anziani tra gennaio e aprile (il 61% in più rispetto al 2019)