Oggi

La post@ dei lettori

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VIVA LE EDICOLE!

Caro direttore, grazie per l’editoriale “Salviamo le edicole”. Ho lavorato in ufficio per molti anni, ora aiutomio marito in edicola. Il lavoro tecnico consiste sempre nel sistemare i giornali nuovi e togliere i vecchi, rese, bolle eccetera, ma sono le persone che fanno la differenza. Clienti che vengono anche per scambiare qualche parola, l’anziano che chiede di contargli i soldi spesi perché vede poco, la signora con il carrello della spesa pieno che chiede se possiamo tenerlo per qualche minuto, oppure domandano una sedia perché affaticati... Ho scoperto l’umanità e la disponibil­ità di molti giornalai. Ora durante la quarantena le persone sembrano perse, non potendo sostare che pochi minuti in edicola, e uno per volta. Volevo ringraziar­la inoltre per la solidariet­à verso le edicole che purtroppo hanno dovuto chiudere. Presto, sono certa, anche il lavoro di giornalaio finirà (orari troppo lunghi e incassi troppo bassi), ma finirà anche un punto di incontro, di aggregazio­ne e di disponibil­ità del quartiere. Sono orgogliosa di essere entrata a far parte di questa categoria: mi fa sentire utile e di appoggio per chi chiede un piccolo aiuto.

Rossana Mercanti

CI ACCONTENTI­AMO

Caro direttore, in qualità di edicolante ho apprezzato molto l’editoriale sul n. 22, e ne condivido le affermazio­ni sui molti clienti che preferisco­no continuare a sfogliare i vari giornali valutandon­e le notizie in confronto a internet. Certo, le vendite sono diminuite ma con un poco di inventiva si recuperano le minori entrate.

Nel mio Comune di circa 12 mila abitanti sono presenti 5 edicole: si vive decorosame­nte. Sarà che ci accontenti­amo, ma non piangiamoc­i addosso.

Domenico

Caro direttore, salviamo le edicole? Qualche decennio fa dicevano: «Non serve il telefono, abbiamo veloci fattorini». È il progresso, bellezza. O semplice evoluzione.

Gianni P.

Caro Gianni, non c’è dubbio. Ma chi ha detto che “progresso” è sempre sinonimo di migliorame­nto?

NOI TELE-MAESTRE

Caro direttore, siamo tre maestre sarde. La nostra scuola elementare ha chiuso i battenti il 4 marzo. Da quelmoment­o ci è stato chiesto di trasformar­ci in tele-docenti e di “connetterc­i” con i nostri alunni proiettand­o i nostri volti e le nostre voci nelle loro case. Pur facendo del nostromegl­io notiamo, purtroppo, che la didattica a distanza non è in grado di riprodurre neanche lontanamen­te quanto avviene tra le mura scolastich­e, ovvero un processo d’insegnamen­to/apprendime­nto che passa attraverso la cooperazio­ne, il confronto immediato, le emozioni, il gioco e i legami affettivi. La formazione dei bambini dai 6 agli 11 anni non può essere ridotta a una pura trasmissio­ne di nozioni: senza le dinamiche relazional­i che si creano dentro una classe possiamo tentare di impartire tutti i contenuti possibili, ma essi saranno destinati a restare “senza anima”. La riapertura dei plessi scolastici minori sarebbe un’ottima soluzione per garantire a tutti il diritto allo studio, mantenendo il distanziam­ento necessario a limitare il rischio di contagio. Giovanna Magrini, Lourdes Ledda,

Daniela Marras

FCA È ITALIANA?

Caro direttore, in merito alla risposta a Giuseppe P., nella quale affermava che Fca è una «multinazio­nale straniera», vorrei precisare che, sebbene dopo l’acquisizio­ne di Chrysler da parte di Fiat la sede legale sia ad Amsterdam e quella fiscale a Londra, la società è di fatto una multinazio­nale italiana con cuore operativo a Torino. Inoltre Fca ha migliaia di dipendenti e decine di stabilimen­ti in Italia che, insieme all’indotto, rappresent­ano una buona fetta del Pil italiano.

Michele Donatelli

Caro Michele, è chiaro che tutti vogliamo difendere i 55 mila lavoratori italiani di Fca (su quasi 200 mila) e tutto l’indotto. Ma è difficile negare che l’azienda sia una multinazio­nale italo-statuniten­se di diritto olandese con sede fiscale nel Regno Unito. A breve, dopo l’accordo con Psa, potrebbe anche diventare un po’ francese. Viceversa, per fare degli esempi, Bmw e Mercedes hanno sede in Germania, Renault sta a Parigi... Del resto, legga qui sotto che cosa mi scrive un altro lettore.

Caro direttore, anch’io volevo comprare Fiat convinto che fosse italiana, poi ho scoperto che la fabbrica è in Turchia, la stessa Fiat produce in Polonia e altrove. Non sempre i marchi italiani sono prodotti in italia.

Paolo Franzoni

LAPSUS IMPERDONAB­ILE

Nella Posta del numero scorso ho attribuito a Fabrizio De André la canzone Io non mi sento italiano, che invece, ovviamente, è di Giorgio Gaber. Grazie a Elena, Manuela, Viviana, Paolo, Fausto e ai tanti altri lettori che mi hanno dato una meritata bacchettat­a sulle dita. E pensare che adoro Gaber e quello è uno deimiei brani preferiti, l’avrò ascoltato mille volte...

 ??  ?? Giorgio Gaber (1939 -2003): il suo ultimo album, pubblicato postumo, prende il titolo dal brano Io non mi sento italiano.
Giorgio Gaber (1939 -2003): il suo ultimo album, pubblicato postumo, prende il titolo dal brano Io non mi sento italiano.

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