Umberto Brindani
Direttore responsabile:
dai 25 ai 51 anni sono stata la donna “invisibile” di un uomo legatissimo a una famiglia che mi era visceralmente ostile. Lui non ha mai vissuto conme. Il matrimonio è arrivato soltanto un anno fa, dopo lamorte di suo padre: troppo tardi per avere figli, per creare rapporti d’affetto con i suoi parenti e anche per vivere una serenitàmai conosciuta. Non posso incolpare miomarito di non aver ripudiato la famiglia per amore, peròmi chiedo spesso se è valsa la pena di arrivare al lieto fine dopo decenni di umiliazioni e di lotte.
Iavere dei limiti.
TIrina, e-mail l lieto fine è insito nella nostra natura. Ci si sposa, si mettono al mondo i figli, si inizia un’attività, si partecipa a un concorso e ci si ricostruisce una vita con la certezza che tutto andrà bene. Ma tutte queste certezze possono venire vanificate dal caso o dagli eventi, e perseverare è rovinoso. L’attesa del lieto fine non solo ha una scadenza, ma un costo che deve u, Irina, per unirti al tuo uomo hai pagato in tempo e speranze un prezzo inaccettabile. In 26 anni non soltanto hai bruciato la prima giovinezza e la possibilità di diventare madre, ma hai anche subìto umiliazioni e sofferenze che hanno spento la tua capacità di vivere serenamente. È perciò improprio parlare di “lieto fine”.
Non sei un caso eccezionale: penso che tra le lettrici di questa pagina molte si possano identificare con te (sia pure in tonominore…).
Sono quelle che aspettano per anni il divorzio dell’uomo amato. Quelle che si innamorano del cosiddetto
“spirito libero” allergico a ogni impegno. Quelle che debbono rassegnarsi a una convivenza a vita.
Il lieto fine è, in tutti questi casi, solo un amaro compromesso.