La post@ dei lettori
IL CASO MONTANELLI
Caro direttore, sul caso Montanelli: un uomo lo si giudica non per le cose che ha scritto con la sua Olivetti ma principalmente per le cose belle o brutte che fa. Siamo abituati a essere buonisti dimenticando sempre le vigliaccate che vanno in prescrizione. Come posso ammirare Montanelli per aver violentato una bambina? I porci sono porci, non smettono di esserlo. Siccome sapeva scrivere bisogna ammirarlo, ma non è detto che chi sa scrivere sia un punto di riferimento. Non lo è affatto, va dimenticato il prima possibile. Se hanno sporcato la sua statua se lo meritava.
Giuseppe Frasca
Caro direttore, l’attacco a Montanelli per il presunto stupro, consistente nell’avere “sposato” una ragazza etiope di soli 14 anni, è frutto di un odio stolido e assolutamente privo di agganci con la realtà. A nessuno è venuto in mente, infatti, che notoriamente in Africa orientale la comparsa del menarca ha luogo, in generale, già all’età di nove anni. Dal punto di vista della maturità sessuale, pertanto, è come se Montanelli avesse avuto rapporti con una diciassettenne. Assolutamente nulla di male, anche perché ancora oggi in Africa una ragazzina di 14 anni viene ritenuta già “matura” per essere data in sposa. Perché tali ovvie considerazioni non si sono presentate alla mente dei tanti che hanno cercato di difenderlo con argomentazioni meno incisive e determinanti?
Michele Gaudiosi
Caro direttore, non metto in dubbio il talento giornalistico di Montanelli, ma non troviamo scuse: un pedofilo è un pedofilo perché uno di 26 anni che “compra” una bambina di 12 si sarebbe meritato il carcere a vita.
Claudia C.
Caro direttore, ogni uomo va giudicato secondo le leggi, gli usi, i costumi, i convincimenti del contesto sociale nel quale è vissuto. Non si possono giudicare i grandi del passato sulla base delle leggi e delle più evolute sensibilità odierne. Può ben immaginare con quanta soddisfazione ho letto il suo bel fondo sul n. 25, che affronta il tema con valide considerazioni e con spiccata efficacia. La ringrazio: le sue parole indurranno senz’altro i lettori a riflettere sul fatto che in certe questioni il giudizio politico deve lasciare il passo al giudizio storico.
Fabrizio Fabretti
Care lettrici e cari lettori, sulla questione, che continua a dividere, ho detto la mia, e la ribadisco: bisogna informarsi e saper contestualizzare. Ma vedo che in alcuni ancora prevale la tentazione di applicare al passato i parametri di oggi. Legittimoma, se me lo permettete, un tantino troppo facile.
NESSUNO INGINOCCHIO PER MAGHERINI
Caro direttore, si è parlato tanto in questi giorni dell’americano ucciso da un poliziotto negli Stati Uniti. Ma ricordo che a Firenze si è verificato un caso simile. La vittima si chiamava Riccardo Magherini, supplicava i militari di farlo respirare ed è morto. Nessuno si è inginocchiato per lui.
Giulia Fuligni
Cara C Giulia, i tre carabinieri accusati ddella morte di Magherini, nel 2014, ssono stati prima condannati e poi aassolti in Cassazione. Ora si attende il verdetto di Strasburgo.
STIAMO S FRESCHI...
Caro C direttore, mi ha divertito molto leggere il suo editoriale circa gli esperti e le loro contraddizioni. Divertito ma anche preoccupato per quello che verrà dopo. Perché se il metro delle soluzioni è pari a quello degli esperti durante la pandemia possiamo stare freschi.
Andrea Cavanna
LO SQUADRONE F
Caro direttore, ho letto con commozione sul n. 24 il bell’articolo su Luigi Andi, ex paracadutista nell’ultima guerra, inquadrato nel leggendario Squadrone F, di cui è l’unico vivente. Sono il figlio di Carlo Francesco Gay, ex allievo della Scuola militare Nunziatella di Napoli (come me) e Capitano di cavalleria. Passato nei paracadutisti, l’8 settembre, fedele al giuramento al Re, non tornò a casa ma continuò a combattere, costituendo quello che diventerà lo Squadrone F. Raccolse intorno a sé vari ufficiali e soldati sbandati che combatterono con valore contro i tedeschi dall’Abruzzo sino al Veneto. È stato il reparto più decorato dell’Esercito italiano di liberazione. Come molti hanno raccontato, mio padre rifiutò la medaglia d’oro chiedendo che fosse data al suo Squadrone. Il lancio di guerra è rimasto nella storia dei paracadutisti militari come una leggenda. Lo stemma sul basco dei paracadutisti dello Squadrone F, disegnato da mio padre, è stato adottato dal 185° Reggimento paracadutisti RAO, unico caso nella Brigata Folgore. Volevo solo ricordare la sua memoria e ringraziarvi per averlo fatto con la vostra rivista.
Luigi Gay