BRITNEY SPEARS LA DISCESA AGLI INFERI NEL SUO LIBRO BOMBA
DA SOLA CONTRO TUTTI Britney Spears oggi a 41 anni. Qui sopra nel 2007, rasata: «Britney cesoie». Sotto, il libro.
Una cattiva ragazza. Così è (quasi) sempre passata Britney Spears, con la sua vita piena di inciampi, momenti bui, scandali. Ha lasciato che tutti parlassero, ma ora tocca a lei raccontare la sua verità. E lo fa in prima persona, nel memoir The Woman in Me (in Italia edito da Longanesi). Ecco le rivelazioni di una vita dannata. Dipendenze e nozze. Dalle droghe pesanti e dall’alcol giura di non essere mai stata dipendente. Si è sballata, sì, ma solo con l’Adderall, un’anfetamina per chi soffre di disturbi di attenzione: «Mi mandava su di giri, ma soprattutto mi faceva sentire meno depressa», scrive. Per questo l’hanno fatta passare per una «cattiva madre fuori controllo».
L’aborto. A 19 anni ha rinunciato al figlio che aspettava da Justin Timberlake: «Se fosse dipeso da me, non lo avrei mai fatto. Ma per Justin diventare padre era fuori discussione. Inghiottii delle pillole, fui colta da crampi lancinanti. Rimasi sul pavimento a urlare e singhiozzare per ore, chiedendomi se stessi per morire. Justin prese la chitarra e si mise vicino a me».
Il padre-padrone. Per 13 anni Jamie Spears ha avuto la custodia della figlia: «Adesso Britney sono io», arrivò a dire. Britney diventò «una bambina robot. La custodia legale mi privò del mio essere donna. Dell’autonomia. Ho ceduto la mia libertà per poter dormire con i miei figli (avuti dal ballerino Kevin Federlin, ndr)».
Avance. A dieci anni, il conduttore Ed McMahon arriva a farsi avanti con lei. Saputo che non aveva un fidanzatino perché i maschietti per lei erano cattivi, le dice: «Io non sono cattivo, che ti pare di me?».
La ribellione. Disperata e distrutta dalla battaglia legale per la custodia dei figli, e intrappolata in quello che gli altri volevano da lei, si rasò i capelli: «Era un modo per dire al mondo vaff***».
La mamma. Da bambina la portava a bere Daiquiri e White Russian e la lasciava guidare. Tutt’altro che un modello.